«Studio» (2023), di Armin Linke. Foto: Stefano Graziani

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«Studio» (2023), di Armin Linke. Foto: Stefano Graziani

Oltre lo scatto di architettura

Al Centre Canadien d’Architecture di Montréal una riflessione sulla fotografia come opera d’arte, documento e strumento di ricerca

Non una mostra di fotografia di architettura, ma una riflessione sulla fotografia come strumento critico, sia per leggere lo spazio costruito (paesaggio urbano, infrastrutture, o spazio privato e domestico), sia per comprendere e progettare le trasformazioni di domani: allestita nelle gallerie del Centre Canadien d’Architecture (Cca) di Montréal fino all’8 aprile 2024, «The Lives of Documents. Photography as Project» presenta opere d’arte, materiali d’archivio, video di studio visit e pubblicazioni inedite.

Curata da Stefano Graziani e Bas Princen (entrambi architetti di formazione e fotografi di professione), la mostra è pensata come un ampio spazio di ricerca sui lavori di oltre 30 artisti che nell’ultimo mezzo secolo hanno contribuito in modo significativo a estendere e ridefinire i confini del medium adottando uno sguardo documentario e al tempo stesso personale.

Il punto di partenza del progetto è la collezione di fotografia del Cca, che fu costituita ancor prima della fondazione del Centro nel 1979, su impulso della direttrice Phyllis Lambert, e che poi si è arricchita con le nuove committenze e acquisizioni portate avanti soprattutto dal curatore Paolo Costantini negli anni Novanta.

«Si tratta di un’ampia collezione apparentemente incentrata sull’architettura, ma abbiamo subito scoperto che molte delle opere non si riferiscono strettamente agli edifici, bensì mettono in luce connessioni più ampie tra ambienti sociali, naturali e costruiti. Abbiamo così iniziato a considerare come i fotografi usassero le loro macchine fotografiche in modi più intenzionali, soggettivi o concettuali per avvicinarsi e documentare il mondo che vedevano attraverso l’obiettivo», afferma Stefano Graziani in merito a una concezione più estesa di fotografia di architettura. Per cui anche il contesto documentario può racchiudere posizioni autobiografiche («molti autori presenti in mostra per buona parte del loro tempo si sono occupati dei luoghi a loro più prossimi, che conoscono meglio», aggiunge il curatore) e divenire un «luogo di pensiero», quando implica un interrogarsi su come potrebbe evolvere il mondo, sulla scia del lavoro di Lewis Baltz (Newport Beach, Stati Uniti, 1945-Parigi, 2014) sui nuovi parchi industriali.

L’altra caratteristica molto importante del Cca è l’interesse ad acquisire la documentazione quanto più completa di un progetto, non limitandosi alle opere finali. Tale approccio si riflette nella scelta espositiva dei curatori che danno spazio a parti dei progetti «abbandonate, rimaste interrotte in un posto della mente o in una scatola da dove però sarebbero potute ripartire», nella consapevolezza che «il progetto non è mai completo e che la caratteristica di molti autori è di aver portato avanti in qualche modo sempre lo stesso, declinandolo in contesti diversi», afferma ancora il curatore.

È il caso ad esempio dei lavori «New Waves» (2000) e «Mushrooms From the Forest» (2011) che Takashi Homma (Tokyo, 1962) continua ancora oggi, o di «In Between Cities» (1993-96) di Guido Guidi (Cesena, 1941), che si arricchisce di una nuova edizione incentrata su una serie rimasta esclusa dal progetto originario.

La mostra inizia con gli anni Sessanta e Settanta quando autori come Lewis Baltz, Bernd e Hilla Becher (Siegen, 1931-Rostock, 2007 e Potsdam, 1934-Düsseldorf, 2015), Douglas Huebler (Ann Arbor, Stati Uniti, 1924-Truro, Stati Uniti, 1997), Luigi Ghirri (Scandiano, 1943-Reggio Emilia, 1992), Marianne Wex (Amburgo, 1937-Schleswig-Holstein, 2020), Sol LeWitt (Hartford, Connecticut, Stati Uniti, 1928-New York, 2007) e Bruce Nauman (Fort Wayne, Stati Uniti, 1941) si servono della fotografia come mezzo artistico per guardare e raccontare il mondo, ma anche quando nasce l’idea di libro d’artista, «strumento privilegiato per il progetto fotografico e museo portatile del progetto», secondo Graziani.

Dalla committenza a Lara Almarcegui (Saragozza, 1972) per una nuova guida su una «waste land» di Montréal, ai libri d’artista di Sol LeWitt in diverse tirature, ai progetti editoriali di Ari Marcopoulos (Amsterdam, 1957) che spaziano dalle zines in poche copie fino alle grandi pubblicazioni: tutto in mostra rimanda al libro e ogni autore esposto ha almeno una sua pubblicazione.

«The Lives of Documents. Photography as Project» è solo la prima, importante mostra di un progetto a lungo termine con cui il Cca di Montréal fino al 2029 (50mo anniversario della sua fondazione) intende promuovere lo studio della propria collezione e da questa stimolare nuove riflessioni sulla fotografia come opera d’arte, documento e strumento di ricerca per l’architettura.

«Studio» (2023), di Armin Linke. Foto: Stefano Graziani

Archivio di Gabriele Basilico. Foto di Bas Princen

Mario Alberto Ratis, 04 ottobre 2023 | © Riproduzione riservata

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