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Silvia Mazza
Leggi i suoi articoliPalermo. Basta con le «riserve indiane», la Sicilia sperimenta il Sistema dei parchi archeologici, 26 in tutto. La metafora è di Caterina Greco, direttrice del Parco archeologico di Selinunte e Cave di Cusa (per certi aspetti pilota), la quale segna uno spartiacque con la realtà esistente fino a un anno e mezzo fa. È nel luglio 2010, nell’ambito della riforma regionale dei Beni culturali, che è stato infatti attivato questo sistema previsto dalla legge regionale 20/2000, quella che aveva già istituito il Parco della Valle dei Templi. Fabio Granata, che l’aveva firmata (era assessore regionale ai Beni culturali), aveva presentato nell’ultimo Governo proposte di legge per estendere anche a livello nazionale questa espe- rienza. Intanto, a dicembre, è stato ricomposto in Assessorato un primo quadro delle proposte di perimetrazione avanzate da Soprintendenze e direttori dei nuovi istituti. Ma i parchi sono già a tutti gli effetti operativi. Con la legge del 2000 la Sicilia è stata precursore, introducendo, per la prima volta (dopo una serie di «esperimenti», all’inizio degli anni ’90, e con il precedente della legge 352/97, che ha attribuito autonomia alla Soprintendenza di Pompei, legge però che ha in oggetto le «aree archeologiche») il parco archeologico come soggetto istituzionale, mentre sarà solo nel 2004 che il Codice dei Beni culturali (art. 101, c. 2, lett. e) ne fornirà una definizione, come «un ambito territoriale caratterizzato da importanti evidenze archeologiche e dalla compresenza di valori storici, paesaggistici o ambientali, attrezzato come museo all’aperto». Con la riforma nell’isola si è andati oltre. «Si è data attuazione alla legge 20, spiega Caterina Greco, ampliandone il contenuto tematico e concettuale in forza della definizione contenuta nel Codice. Si è passati, non estraneo il parallelo evolversi del concetto di ecomuseo, da un’area recinto, chiusa al territorio, protetta e tutelata nei suoi confini (come è ancora il precedente della Valle dei Templi), al distretto culturale in cui le comunità si identificano». Così se le Soprintendenze in Sicilia sono organizzate su scala provinciale, il parco può non esserlo. Ma era «un sistema chiuso, prosegue la Greco, anche perché definiva ambiti archeologici e non multidisciplinari. L’archeologia rimane l’attitudine trainante, ma ogni parco ha la sua peculiarità: ad esempio quelli della Sicilia orientale (l’area dell’Etna), possono puntare sulla valenza paesaggistico-geografica». Dunque, diversa scala territoriale di riferimento, processo che viene dal basso e multidisciplinarietà. Per adeguarsi sui due fronti, il parco da lei diretto sta facendo domanda per entrare nel distretto turistico istituito qualche mese fa, in cui i territori del basso Belìce riconoscono in Selinunte il motore della loro storia e l’elemento aggregante, e d’altra parte, si è già nella rete museale selicina e si sono avviate collaborazioni con la Fondazione Orestiadi di Gibellina, aprendosi a tutte le realtà culturali del territorio. E poi, con passaggi ancora in itinere: distinzione di competenze tra Soprintendenze, a cui resta l’onere della tutela, e parchi, a cui spettano ricerca scientifica e valorizzazione; autonomia finanziaria (per il momento ci si avvale di fondi regionali, po- chi, e comunitari) che servirà a testare le capacità «manageriali» dei direttori (a Selinunte le progettazioni sono fruttate 9 milioni di euro di fondi europei del Po Fesr 2007/13) e dell’intero consiglio del parco, organo collegiale di gestione, ancora da insediare. Tappa successiva dovrà essere quindi l’effettiva messa a regime del sistema, attraverso un momento di coordinamento centrale. Ma se a Selinunte in agosto si registravano 40mila presenze, altri parchi ne contano solo 4mila all'anno.
Guido Meli, direttore di un altro parco in vista come quello della Villa del Casale, non crede che sopravviveranno tutti, ci sarà un processo aggregativo: «Non è possibile che di parco si possa pensare per ogni sito archeologico, finendo per annullare il proposito di puntare su qualificati poli di eccellenza. Elemento essenziale e presupposto è che l’area sia di una certa consistenza, almeno tale da rendere vantaggiosa un’amministrazione territoriale autonoma». «Si tratta, aggiunge Meli, di una scommessa sulla base di un modello gestionale moderno che consente di diminuire la spesa pubblica perché si amministrano le risorse che si riescono a ottenere dalle attività organizzate dal parco. Meglio funziona e più si guadagna. Soprattutto, concorda Meli con la collega Greco, sono “sentinelle culturali del territorio”, utili alla valorizzazione condivisa dalla base».
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