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Manuel Borja-Villel

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Manuel Borja-Villel torna a Barcellona per riconfigurare il sistema museale e rifondare il Mnac

Il raddoppio del Museo Nacional d’Art de Catalunya è lo spunto per ripensare l’istituzione museale: «È un’opportunità e un dovere morale», sottolinea l’ex direttore del Reina Sofía, oggi superconsulente della Generalitat

Roberta Bosco

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Dell’ampliamento del Museo Nazionale d’Arte della Catalogna (Mnac) si parla dal 2012, da quando Pepe Serra fu nominato direttore. Da allora Serra non ha mai smesso di denunciare la mancanza di spazio e di ribadire la necessità di poter esporre tutta la collezione per collegarla a quella del Museo d’Arte Contemporanea di Barcellona (Macba). Se in questi anni il progetto non è andato avanti, non è stato per la mancanza di un programma, ma di volontà politica e di fondi.

Ora che mancano sei anni alla celebrazione del centenario della costruzione del Palau Nacional nel 1929, Pere Aragonés, presidente della Generalitat, il Governo autonomo della Catalogna, e Natàlia Garriga, assessora alla Cultura, hanno deciso di dare un nuovo impulso al progetto, richiamando in patria Manuel Borja-Villel (Burriana, 1956), in qualità di «superconsulente» per le questioni museali. L’ex direttore del Museo Reina Sofía di Madrid, una delle voci più autorevoli della museologia internazionale, non avrà funzioni esecutive, ma l’incarico di ripensare tutto l’insieme dei musei catalani e il «big bang» da cui si svilupperà la sua proposta sarà il Mnac, che possiede la collezione di arte romanica più importante al mondo.

«Il Giornale dell’Arte» lo ha intervistato nel suo nuovo ufficio del Palau Moja.

Dal suo arrivo non si parla più di ampliamento del Mnac, ma di rifondazione. Esattamente in che cosa consiste il suo incarico?
L’incarico prevede diverse azioni: curare proposte espositive con l’obiettivo di internazionalizzare l’arte catalana, organizzare dibattiti e riflessioni sull’evoluzione del sistema museale, creare strutture in rete, alternative e non gerarchiche, ma soprattutto accompagnare l’ampliamento del Mnac con lo sguardo rivolto alla celebrazione del centenario nel 2029. Rifondare il Mnac è un’opportunità unica e un dovere etico e politico. Il problema dei musei è che hanno più opere di quelle che possono esporre e collezionare non dovrebbe significare accumulare. È il momento di cambiare, di riconfigurare la struttura del museo e di relazionarsi con i pubblici da una prospettiva empatica e non paternalista. Rifondare significa ripensare e farlo in modo differente. Questo è un processo che il museo ha iniziato da tempo: io porto la mia esperienza e il mio lavoro a una proposta più generale che ha a che fare con l’ecosistema museale catalano. Il mio lavoro consiste nell’aprire dialoghi, combinare sinergie esistenti, stabilire collegamenti con altri agenti e luoghi e promuovere la creazione di dispositivi e genealogie alternative. Sempre basato sul lavoro collettivo.

Che cosa intende per rifondazione?
Dobbiamo passare dal museo enciclopedico al museo sociale. Il museo enciclopedico crea categorie e etichette, propone un’unica visione, dà priorità al dominio, al potere e al profitto. Il museo sociale dà priorità alla vita sul potere. Viviamo un cambio di episteme, un momento di crisi sistemica ed ecologica senza precedenti, di disuguaglianze, guerre culturali e reti sociali che contribuiscono a creare nuove soggettività. Hanno preso forza nuove convinzioni afrodiscendenti, indigene, femministe e tecnologiche, che non interessano solo l’estetica ma implicano una nuova presa di coscienza. Anche se musei come il British stanno restituendo alcune delle opere trafugate ai tempi dell’Impero e stanno aiutando a costruire musei nei luoghi d’origine, in realtà stanno esportando il loro sistema in una sorte di neocolonialismo. Nella prima Art Basel dopo la pandemia, c’erano moltissime opere di afrodiscendenti, ma i collezionisti erano tutti bianchi e l’approccio artistico occidentale, e allora dov’è il cambio? Il potere si perpetua. In Spagna l’estrema destra sta propugnando una guerra culturale (di cui il proprio Borja è stato vittima) e la sinistra non riesce a reagire. Le istituzioni culturali e artistiche sono sotto attacco e devono far sentire la loro voce.

Come porterà a termine un incarico così complesso, senza funzioni esecutive?
La mia azione è di tipo diverso: consiste nel pensare, consigliare, interrogare, trovare crepe e muovermi tra le fessure. Se il sistema dei musei fosse un universo, io sarei colui che si occupa della materia oscura, che transita per i buchi neri. Sono stato direttore per 35 anni prima della Fondazione Tàpies, poi del Macba e gli ultimi 15 anni del Reina Sofía a Madrid, se avessi voluto continuare avrei ripresentato la mia candidatura. Dopo l’esperienza della Biennale di San Paolo, in Brasile, so che voglio dedicarmi a prefigurare il nuovo museo. Questo significa pensare come archiviamo, cataloghiamo, compriamo ed esponiamo e anche a chi appartengono le collezioni e i musei. Ho già parlato con diversi direttori e ho intenzione di realizzare progetti con Valentín Roma (La Virreina Centre de la Imatge), Enric Puig (Arts Santa Mònica) e Imma Prieto (Fundaciò Tàpies).

Qual è la specificità della situazione catalana?
Ci troviamo di fronte a una realtà museale molto diversa da quella di Parigi o Londra, con i musei degli imperi e della borghesia illuminata, o anche da Madrid dove abbiamo il grande museo della monarchia, il Prado e quello della transizione, il Reina Sofía. Qui la modernità è nata grazie all’impulso e allo sforzo di artisti come Picasso, Miró e Tàpies, il che  significa che si tratta di una modernità frammentata, che si riflette in una rete di musei, asimmetrica e molto complessa. Inoltre la Catalogna ha una tradizione di dissentire senza violenza e con rispetto. È in questo contesto che ricevo l’incarico di ripensare tutto il sistema catalano dei musei a partire dal Mnac che sta per raddoppiare la sua superficie espositiva. Ogni museo ha il suo direttore e le sue équipe, il mio ruolo è quello di aiutarli a realizzare questo ripensamento dei musei.

In pratica come si realizzerà questo cambio di paradigma, dal museo enciclopedico al museo sociale?
Faccio un esempio con una delle opere più note del Mnac «La battaglia di Tetuán» di Marià Fortuny. Così com’è esposto offre una visione romantica, estetizza la guerra e la relega al passato, mentre viviamo una guerra globale latente, mantiene in silenzio determinate voci e non contestualizza il ruolo coloniale della Spagna e della Catalogna. Dobbiamo ampliare il discorso, trovare un altro modo di leggere l’opera, da una prospettiva non eurocentrica (per esempio pensando alle comunità di donne del Rif ripudiate anche dal Marocco), dando voce a chi non ce l’ha, mettendo in discussione la storia, il territorio e la memoria. L’archivio non basta, bisogna acquisire da altre culture altri modi di ricordare  e questo implica anche il dibattito sul conservare o meno i monumenti di determinati personaggi storici. Tutto questo si dovrà vedere già dalla prima mostra, che deve generare dibattito, tensioni e proposte.

Il Mnac-Museu Nacional d’Art de Catalunya a Barcellona

Manuel Borja-Villel

Roberta Bosco, 01 novembre 2023 | © Riproduzione riservata

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