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Jan Vermeer, «Ragazza col turbante», 1665-66 ca (particolare)

Foto tratta da Wikipedia

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Jan Vermeer, «Ragazza col turbante», 1665-66 ca (particolare)

Foto tratta da Wikipedia

Le opere dell’artista (ri)dipinte con le parole

Melania Mazzucco, curatrice dal 2024 della sezione «L’arte da leggere» al Salone del Libro di Torino, racconta il progetto da intendersi in una doppia accezione: i volumi che hanno l’arte come oggetto del discorso e il nostro sguardo su di essa, che va, appunto, «letta»

Melania Mazzucco

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La sezione che curo al Salone del Libro di Torino dal 2024, sotto la direzione di Annalena Benini, ha per titolo «L’arte da leggere». Da intendersi in una doppia accezione: i libri che hanno l’arte come oggetto del discorso; il nostro sguardo sulle opere, che vanno, appunto, «lette» (ma come?). L’idea è quella di coinvolgere, nel corso delle edizioni, quanti scrivono d’arte (in ogni genere e forma: narrativa, saggistica, storica, biografica), nonché curatori di mostre e cataloghi, direttori di gallerie e musei, divulgatori, collezionisti e anche artisti stessi. 

Quest’anno il focus è specifico su «visione e narrazione», perché nel primo incontro dialogherò con Riccardo Falcinelli, graphic designer che va componendo una sorta di manualistica dello sguardo: riccamente illustrati e agilmente conversativi, i suoi volumi (l’ultimo è «Visus», pubblicato da Einaudi) aggirano l’abituale prospettiva storica che ci viene insegnata proponendo una filosofia puramente visuale dell’immagine (in sintonia con la sensibilità contemporanea, come attesta il gran numero di lettori). Gli altri incontri, con scrittrici antitetiche (l’americana Tracy Chevalier, la francese Marie Darrieussecq e la sottoscritta), permettono di ragionare sulla fortuna della narrativa d’argomento artistico, e sulle sue caratteristiche attuali (che a mia volta, coi libri sui Tintoretto, con L’architettrice, Self-portrait e, per certi versi, anche l’ultimo, Silenzio, ho sperimentato e cercato di innovare). 

Chevalier, che pubblicò nel 1999 La ragazza con l’orecchino di perla, poi trasposto da Hollywood al cinema, può essere ormai storicizzata. Le si può riconoscere il merito di aver reso popolare in tutto il mondo il pittore più elusivo del secolo d’oro olandese, Johannes Vermeer, ma anche di aver creato il prototipo di un vero e proprio genere. Con l’eccezione dell’Artemisia (1947) di Anna Banti, esperimento modernista che anticipava di decenni la tendenza oggi dominante, i più reputati romanzi d’artista del Novecento vedevano protagonisti i titani della storia dell’arte. Penso al Leonardo da Vinci del russo Dimitri Merežkosvkij, o al Goya del tedesco Lion Feuchtwanger. Più che romanzi storici, o biografie d’autore, erano romanzi d’idee, intessuti di dialoghi filosofici, riflessioni estetiche e morali. Ma il pPittore era il presupposto anche di opere più accessibili, come La luna e sei soldi di Maugham, su Gauguin, Il romanzo della montagna del nostro Calzini su Segantini, o il longseller Il tormento e l’estasi di Irving Stone su Michelangelo

L’inversione della prospettiva (e la messa a fuoco di chi era sempre rimasto in ombra) è stata lenta, ma inesorabile. La decostruzione del mito del genio (sia pure maledetto) è stata parallela all’evaporazione della figura del pittore nell’arte contemporanea (e non è un caso se l’ultimo grande libro del XX secolo su un artista, il primo pannello del trittico in versi Secondo natura di W.G. Sebald, del 1988, sia dedicato a Grünewald, maestro fantasma, di cui si ignora perfino il vero nome). Ma è stata accompagnata, accelerata e poi in qualche modo causata, dalla progressiva emancipazione della donna e dal mutamento della condizione femminile: il che, dall’ultimo quarto del Novecento, ha imposto anche nel campo dell’arte la rivalutazione del lavoro delle artiste, e del ruolo delle donne, non più muse e oggetti silenti, ma soggetti. Tutto ciò ha appagato le aspettative del pubblico, come dimostra il case history della Ragazza con l’orecchino di perla (in cui la domestica, ipotizzata modella dell’omonimo dipinto, raccontava, con venerazione ma «dal basso», la storia di Vermeer e del quadro stesso), e ha finito per influenzare le scelte degli editori, e anche degli scrittori. Ormai non vi è quasi narrazione d’argomento artistico che non abbia protagonista una donna. Sia essa modella di un’opera famosa, moglie o amante di un pittore, oppure artista essa stessa. Realmente esistita (come per esempio Artemisia o Frida Kahlo, che vantano ormai una letteratura propria), ma anche inventata: si tratta in questo caso di un’operazione di riscrittura del passato ingenuamente polemica e rivendicativa ma consolatoria (si fabbricano, quasi in serie, miniatrici, vetraie, ceramiste, arazziere geniali che, a dispetto della realtà storica e sociale, superando ostacoli e avversità trionfano). Le donne sono le principali lettrici di questa letteratura: che così si autoalimenta. 

Al «romanzo della modella» si possono ricondurre opere di alta qualità letteraria come L’odalisca perduta di Adrien Goetz (2004), su un misterioso quadro di Ingres, La sposa ebrea di Luigi Guarnieri (2006), sulla donna ritratta nell’omonimo quadro di Rembrandt, e Dora e il Minotauro di Slavenka Drakulic, sulla Maar (2021); e di narrativa mainstream, come, per citare qualche titolo recente, L’amante di Rembrandt di Simone van Vlugt (2021), sulla maltrattata Geertje Dircx, che il pittore mandò in prigione per debiti, Io, Monna Lisa di Natasha Solomons (2022) o La sconosciuta del ritratto di Camille de Peretti (2024): la giovane effigiata nel «Ritratto di signora» di Klimt (rubato nel 1997, ritrovato nel 2019 e ora ricollocato alla Galleria Ricci Oddi di Piacenza) ispira una saga familiare di figli illegittimi, orfani e milionari che si dipana fra l’Austria Felix e l’America. Il quadro di Klimt funziona da «gancio», al quale appendere la vicenda. 

Ma la modella non è solo un anonimo volto, o corpo; amanti, mogli e madri di pittori offrono alla trama la propria reale biografia: penso a La donna col vestito verde di Stephanie Cowell (2010), su Camille Doncieux, musa di Claude Monet; La vedova Van Gogh (2012) di Camilo Sánchez, su Johanna, la cognata di Vincent; Il valzer degli alberi e del cielo (2012) di Jean Michel Guenassia, con Marguerite, la figlia del dottor Gachet; La ragazza delle fragole (2016) di Lisa Strømme, fantasticheria sulla genesi del «Grido» di Munch, Madame Degas (2022) di Arthur Japin, Il sorriso di Caterina (2023) di Carlo Vecce, sulla madre di Leonardo, fino al recente Il velo di Lucrezia di Carla Maria Russo, sulla Buti, modella e amante di fra Filippo Lippi. 

Si moltiplicano inoltre i romanzi dedicati ad artiste dimenticate, da Berthe Morisot (che ricorre in Mika Biermann e Antonio Fasano), a Carlotta Gargalli, ovvero L’allieva di Canova (2023) nell’omonimo libro di Ilaria Chia. Tra questi, esemplare Essere qui è uno splendore, che Marie Darrieussecq ha dedicato a Paula Modersohn-Becker nel 2016, ma solo adesso tradotto in italiano. La scrittrice francese non conosce l’artista tedesca, ignota al di fuori della Germania. L’incontro nel 2010 col suo nudo di donna mentre allatta un bambino (indiretto, tramite la riproduzione nel poster di un convegno di psicoanalisi) la spinge a interrogarsi sulle ragioni del silenzio, e a scrivere per dissiparlo. Utilizzando materiali autentici (il diario, la corrispondenza, i testi degli amici, fra cui Rilke) e in dialogo costante con le sue opere (allora relegate nei sotterranei dei musei), in paragrafi essenziali come i quadri di Modersohn-Becker, Darrieussecq ricostruisce la storia dell’artista, non come vicenda biografica romanzesca, ma come compimento di una vocazione e scoperta di sé quale artista: splendore, appunto. La scrittura non è giustizia né chirurgia: non medica la ferita dell’oblio, ma restituisce «presenza». 

Questa mi appare la strada più promettente del rapporto fra le due arti. La letteratura non abusa di artisti e opere, come negli innumerevoli romanzi di genere con nel titolo il nome di un pittore (Caravaggio docet), associato a un delitto, un cadavere, un’indagine, e nei quali l’artista di turno è protagonista, testimone o pretesto; non attira a sé usando l’artista o il quadro come brand, ma amplia le nostre conoscenze, mette in discussione la politica di trasmissione della memoria e agisce, anche: qui e ora. Poiché la lettura diventa invito al viaggio del lettore, alla visione personale delle opere dell’artista (ri)dipinte con le parole. La buona letteratura non è retorica e imitazione, ma persuasione: sapere e ricerca della verità. 

Melania Mazzucco, 13 maggio 2025 | © Riproduzione riservata

Le opere dell’artista (ri)dipinte con le parole | Melania Mazzucco

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