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Vincent Noce
Leggi i suoi articoliMentre si avvicina il quinto anniversario della guerra civile, Cheikhmous Ali continua a documentare la distruzione e il saccheggio del patrimonio siriano con l’aiuto di una rete di volontari sul campo
Gli mancano stivali, cappello e frusta e la natura non gli ha dato l’aspetto di Indiana Jones. Di bassa statura e miope, Cheikhmous Ali ha un aspetto sempre sereno e un sorriso gentile. Ma quando si tratta della lotta per salvare il patrimonio siriano, nel fuoco incrociato di una guerra civile che è iniziata a marzo di cinque anni, parla con una convinzione che colpisce. Recentemente è stato anche invitato a parlare al Parlamento europeo di Strasburgo.
Nonostante il pericolo e le enormi difficoltà incontrate sul territorio, questo assistente ricercatore presso l’Università di Strasburgo di 37 anni, nato in Siria, dirige l’Association for the Protection of Syrian Archaeology (Apsa), un network di scienziati, giornalisti e cittadini che documentano e divulgano notizie sulla distruzione e il saccheggio delle antichità siriane. Il gruppo è stato fondato da archeologi di Parigi, Bruxelles e Strasburgo a fine 2011, poco dopo i primi massacri perpetrati dal regime del presidente Bashar al-Assad. La maggior parte dei suoi membri vive ancora in Siria e Ali, insieme ad altri europei, è volontario; gli scarsi fondi che l’Apsa ottiene servono «a fornire i mezzi ai corrispondenti sul territorio», ha affermato Ali in una recente conferenza tenuta presso la casa d’aste Drouot di Parigi sul traffico dei «reperti insanguinati».
Consapevole dei rischi
Non è difficile immaginare i rischi che corrono queste persone, per esempio quando fotografano le armi posizionate presso i siti culturali. «Ci mancano tuttavia i dati sulle zone controllate dall’Isis, fin da quando abbiamo chiesto a queste regioni di smettere di comunicare con noi; il rischio di essere decapitati è troppo grande», dice Ali che ricorda, con emozione, il direttore delle antichità di Palmira, Khaled al-Asaad, ucciso ad agosto 2015 dopo aver rifiutato di abbandonare il sito a cui aveva dedicato la vita (cfr. n. 356, set. ’15, p. 1). «Era un uomo devoto e generoso, sempre pronto ad accogliere i ricercatori, ricorda Ali. Aveva evacuato le parti più importanti della collezione del museo verso Damasco. Prima di morire è stato torturato dai fondamentalisti che volevano confessasse dove aveva nascosto il tesoro: un’ipotesi assurda».
L’Apsa ha elaborato programmi di formazione per i suoi «survivors del patrimonio», per aiutarli ad acquisire le conoscenze tecniche necessarie e Ali organizza regolarmente workshop in Turchia, un importante canale per il traffico di reperti siriani. L’organizzazione verifica inoltre i dati prima di postare le informazioni sui social network. «Se necessario, ci rivolgiamo a specialisti per identificare le opere e scoprire i falsi», dice.
Pubblicati in arabo, inglese e francese, i dettagliati rapporti dell’Apsa rivelano una crudele litania di ricercatori uccisi, moschee distrutte, monumenti storici devastati e musei bombardati. Quando gli chiediamo se questo triste censimento non sia una dimostrazione di impotenza, Ali risponde: «È un dovere. Questa documentazione ora ha lo scopo di testimoniare, ma quando gli scontri saranno cessati, sarà di fondamentale aiuto per arrestare i criminali di guerra e ricostruire il Paese».
Michel Al-Maqdisi, vicedirettore del patrimonio siriano dal 2000 al 2012, è d’accordo. «Ora dobbiamo pensare al dopoguerra, per evitare che si traduca in una nuova catastrofe per il patrimonio», spiega. Al-Maqdisi sa bene di cosa parla: ha insegnato all’Università libanese di Saint Joseph contribuendo alla ricostruzione di Beirut dopo la guerra civile. «La parola d’ordine è “dovere”. Abbiamo necessità di iniziative da parte dei cittadini, perché la comunità internazionale e l’Unesco difficilmente potranno fare qualcosa prima della fine di questa catastrofe umanitaria. Ci sono tanti bei proclami politici ma si fa poco», spiega Al-Maqdisi. Specialista nell’Oriente del III e II secolo a.C., consiglia regolarmente Ali sulle opere. «Mi fido molto di questo giovane uomo. Dedica quasi tutto il suo tempo a questo lavoro, vivendo a fatica di lavoretti, come fanno quasi tutti gli archeologi siriani nel mondo. Per fortuna la Francia ci ha accolto molto bene». Anche Yannick Lintz, direttore del Dipartimento di Arte islamica del Louvre, ha un’alta considerazione del lavoro di Ali. «Lo ammiro molto, per il suo coraggio e la sua onestà che dimostra in situazioni molto complesse; non gli ha reso la vita facile».
«Personalità radiosa»
Un altro studioso che mette a disposizione la sua competenza è Sophie Cluzan, curatore del Dipartimento di Antichità del Vicino Oriente del Louvre, che ha condotto diverse missioni archeologiche in Siria. Descrive Ali come «una personalità brillante, che non si lascia manipolare né da una parte né dall’altra. Per lungo tempo la gente si è rifiutata di ascoltarlo, è rimasto da solo e sono sconvolta nel vedere che ancora oggi rimane al di fuori di molte missioni di aiuto alla Siria».
Ali si distingue per il suo atteggiamento non fazioso. Alla conferenza da Drouot («Organising against the Trafficking of Antiquities», 18 novembre 2015), ha aperto il dibattito con queste parole: «Non è solo l’Isis a distruggere e saccheggiare. Dei sei siti Patrimonio dell’Umanità Unesco, tutti colpiti in diverso grado, solo Palmira era sotto il controllo dell’Isis e solo per poco tempo. È importante spiegare che la città antica era già stata saccheggiata quando è stata occupata dall’esercito siriano». Ali insiste a considerare tutte le conseguenze della guerra, citando la distruzione del centro storico di Aleppo e un bombardamento aereo della collezione di ceramiche Khan Murad Pasha a Idlib da parte siriana. Il suo riferimento a un bombardamento americano nella regione di Aleppo o di quello russo di un villaggio bizantino non è piaciuto a tutti.
Oggi però, le atrocità commesse dall’Isis hanno spinto i Paesi occidentali ad ascoltare. «Tutti saccheggiano, a diversi livelli di gravità, ma l’Isis si distingue assorbendo i guadagni ufficialmente sotto il suo controllo. Questo lascia tracce scritte». Il Dipartimento di Stato degli Usa l’ha provato confermando l’esistenza di un’imposta sugli scavi (il 20% del valore di quanto trovato) in occasione di una tavola rotonda al Metropolitan Museum di New York a settembre. La antichità, con petrolio e armi, sono aree strategiche in cui l’Isis sta creando un monopolio.
Le rotte del traffico
Ali ha indicato le vie che attraversano il Libano e la Turchia sotto il controllo di bande dell’Europa dell’Est. Piccole sculture e monete, che costituiscono la maggior parte degli oggetti saccheggiati, vengono vendute su internet. Le sculture più grandi sono andate a finire in collezioni del Golfo. Ci potrebbero volere anni o addirittura decenni prima che altri pezzi di valore vengano venduti sul mercato, com’è successo in Iraq, Afghanistan e Cambogia.
Ali, nato ad Hassake, capoluogo della provincia omonima nel Nord-Est della Siria, non vede la famiglia da sei anni. La città è ora controllata dalle forze curde e dall’esercito siriano; l’Isis è stanziato poco più a sud. Due terzi dei 180mila abitanti sono fuggiti. Ali ha perso amici e parenti. Dopo essersi trasferito a Damasco nel 1996, ha partecipato a campagne archeologiche prima di proseguire gli studi a Strasburgo, dove si è specializzato in raffigurazioni delle architetture nell’antichità. La sua tesi di dottorato era sui monumenti e le fortificazioni rappresentate sui sigilli a cilindro. Ha inoltre organizzato mostre sulle tradizionali case rosse delle paludi dell’Iraq del Sud e persino sull’iconografia nell’arte della ricostruzione. Un barlume di speranza.
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