Veduta dell’allestimento della mostra «Arte agli Antipodi. La collezione Brignoni»

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Veduta dell’allestimento della mostra «Arte agli Antipodi. La collezione Brignoni»

La sindrome di Stendhal per l’arte degli Antipodi

Al Musec di Lugano è esposta la collezione Brignoni. Lo studioso Antonio Aimi ha intervistato il curatore della mostra, Paolo Campione

Il 10 febbraio scorso al Musec (Museo delle Culture) di Lugano si è inaugurata la mostra: «Arte agli Antipodi. La collezione Brignoni», curata da Paolo Campione, che è direttore del Musec e protagonista della sua rinascita e del suo trasferimento dalla sede originaria dell’Heleneum a Villa Malpensata. Nell’esposizione, che resterà aperta fino al primo ottobre, sono presentati 73 capolavori della collezione di arte oceanica e dell’Asia sudorientale formata da Serge Brignoni, che nel 1985 donò alla città di Lugano 650 opere, che rappresentarono il primo passo di quello che poi è diventato l’attuale Musec.

Brignoni era un artista del Ticino, forse il più importante, che dopo aver frequentato l’Accademia di Brera di Milano e la Hochschule für Bildende Kunst di Berlino, nel 1923, a vent’anni, si era trasferito a Parigi, dove era entrato in breve tempo nella cerchia dei pittori d’avanguardia. In particolare, qui era stato attratto dalle opere di Picasso, nelle quali riconosceva un’affinità con alcuni pezzi etnografici che lo avevano già molto colpito.

La sua produzione artistica nacque dall’incontro prima con il Cubismo e poi con il Surrealismo, ma fu la passione per l’arte etnica, presente in quegli anni in quasi tutti gli studi delle avanguardie, che lo spinse a diventare collezionista. E da questo punto di vista è importante ricordare che Brignoni fu un collezionista capace di scegliere i pezzi più belli e più vicini alla sua ricerca artistica.

La mostra riunisce il meglio delle opere del Musec e il meglio di un piccolo nucleo della sua collezione, che era finito al Kunstmuseum di Berna e che, caso rarissimo nella storia dei musei, nel 2018 è stato ceduto al museo di Lugano, come riconoscimento sia del ruolo dell'istituzione ticinese in generale, sia dell’attenzione riservata a Brignoni.

Lungo il percorso espositivo, che si snoda nelle 13 sale dei due piani nobili di Villa Malpensata, è possibile ammirare una straordinaria sequenza di oggetti carichi di magia per le loro sorprendenti soluzioni stilistiche, per la ricchezza dei motivi decorativi e per la varietà dei materiali. Si tratta di sculture piccole e grandi, di maschere, di scudi, di elementi architettonici ecc., che rappresentano il meglio delle diverse tipologie e delle diverse culture. E, significativamente, tutti questi reperti confermano in un modo o nell’altro lo sguardo del Brignoni surrealista che li aveva scelti.

La mostra si apre presentando nella sala d’apertura ciò che lo stesso Brignoni spesso raccontava del suo primo incontro con l’arte extraeuropea all’età di soli otto anni. Essendo stato portato assieme ai suoi compagni di classe a vedere un museo di Berna con alcuni reperti delle culture «altre», era stato «fulminato» dalle proporzioni inusuali e dalla prorompente carica espressiva di alcune sculture dell’Oceania.

Nelle sale successive le opere della collezione Brignoni sono esposte seguendo un criterio geografico-culturale, che si apre con la Nuova Irlanda e termina nell’isola di Bali, attraversando la Nuova Guinea, la Nuova Caledonia, il Borneo, il Sulawesi, il Nagaland. Sulle caratteristiche di questa mostra abbiamo avuto la possibilità di intervistare in esclusiva per «Il Giornale dell’Arte» Paolo Campione, che oltre a essere direttore del Musec è professore di Antropologia Culturale all’Università degli Studi dell’Insubria.

Che criteri ha seguito nel progettare il percorso espositivo della mostra?
In primo luogo devo dire che sono molto contento di aver realizzato questa mostra, che rappresenta la piena realizzazione del sogno di Brignoni: mostrare alle future generazioni come la scoperta dell’arte etnica abbia influenzato e trasformato il linguaggio artistico delle avanguardie del Novecento. Per raggiungere questo scopo ho voluto creare una mostra immersiva, in grado di rappresentare la realtà surrealista in cui viveva l’artista. Per questa ragione le sale della mostra sono caratterizzate da colori primari e vivaci che rinviano alle opere pittoriche di Brignoni e degli altri protagonisti del Surrealismo.

Lungo le pareti, poi, ho fatto inserire testi a caratteri cubitali con passi degli artisti surrealisti e la famosa «Mappa del Mondo» dei surrealisti del 1929, che rappresenta le varie regioni del pianeta a partire dal «tasso di surrealtà» dell’arte delle diverse popolazioni e che, quindi, raffigura in modo ingigantito le zone da cui prevenivano le opere care a Brignoni, per via della loro straordinaria forza nell’esprimere l’estasi, il sogno, l’allucinazione e gli stilemi del Surrealismo.
Parallelamente, ho deciso che il visitatore fosse accompagnato dalla musica della «Gymnopédie» di Erik Satie, molto vicino alle avanguardie della Parigi dei primi due decenni del Novecento.

Che cosa ha voluto cambiare o mettere in evidenza rispetto al precedente allestimento dell’Heleneum, la prima sede del museo?
L’allestimento all’Heleneum, pur corretto, aveva il taglio tipico dei musei di etnografia e dimenticava totalmente le valenze artistiche degli oggetti e la visione di Brigoni.

Preparando la mostra che cosa l’ha emozionata di più?
A essere sincero devo dire che, pur avendo curato diverse mostre, mai mi era capitato di avere l’opportunità di poter scegliere tra tanti capolavori. Anzi, devo confessare che in alcuni momenti, quasi quasi, mi sono sentito colpito dalla sindrome di Stendhal. E anche se non la auguro a nessuno dei visitatori, spero che tutti possano essere colpiti dalla bellezza delle opere esposte.

Veduta dell’allestimento della mostra «Arte agli Antipodi. La collezione Brignoni»

Paolo Campione, direttore del Musec-Museo delle Culture di Lugano, nella sala conclusiva della mostra «Arte agli Antipodi. La collezione Brignoni»

Antonio Aimi, 14 aprile 2023 | © Riproduzione riservata

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