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Julia Halperin
Leggi i suoi articoliGrandi investimenti, ma c’è chi l’accusa di disconoscere la visione del fondatore
Tre anni dopo il trasferimento presso la sua nuova sede nel centro di Filadelfia, la Barnes Foundation continua a reinventarsi. In questo processo, ha riacceso il dibattito in merito all’età d’oro dei musei privati: possono rimanere rilevanti (e finanziariamente sostenibili) senza abbandonare la visione dei loro fondatori? Nel corso dei prossimi cinque anni, la Barnes ha in progetto il lancio del suo primo programma di mostre, la commessa di nuove opere ad artisti contemporanei, la digitalizzazione del suo archivio e l’apertura della sua collezione agli studiosi. L’istituzione sta anche lanciando una campagna per aggiungere 100 milioni di dollari alla sua dotazione (attualmente 63,1 milioni di dollari) entro il 2022.
La fondazione, istituita dall’eccentrico imprenditore farmaceutico Alfred Barnes nel 1922, possiede una delle migliori collezioni di arte moderna al mondo. Ma negli ultimi anni i suoi tesori sono stati messi in ombra dalla controversa decisione di trasferire la collezione nel centro di Filadelfia dalla periferica Merion, ignorando le ultime volontà di Barnes e scatenando violente azioni legali e proteste.
Barnes Foundation in continua mutazione1913. Alfred Barnes, cha accumula una fortuna dallo sviluppo del farmaco antisettico Argyrol, paga 300 dollari per un dipinto di Pablo Picasso. Si aggiunge a una collezione d’arte moderna in grande crescita.
1923. La Pennsylvania Academy of the Fine Arts presenta circa 75 opere dalla collezione di Barnes. I critici ne prendono le distanze; uno di essi descrive la mostra come una «piaga infetta».
1925. La Barnes Foundation apre le porte agli studenti a Lower Merion, a cinque miglia da Filadelfia. La sua missione è «promuovere l’educazione e la comprensione delle belle arti».
1951. Barnes muore in un incidente stradale. Ha 79 anni.
1958. Il procuratore generale della Pennsylvania cita in giudizio la Barnes Foundation, sostenendo che deve aprire al pubblico per poter continuare a operare come ente filantropico pubblico. La Barnes apre, su appuntamento, due giorni e mezzo alla settimana.
1988. Lascia la fondazione la sua presidente Violette de Mazia, tra i pochi allievi sopravvissuti di Barnes.
1992. Il Tribunale consente alla Barnes Foundation di inviare 80 opere in un tour mondiale mentre sono in corso i lavori di restauro dell’edificio. Incassa 16 milioni di dollari ma si offendono i lealisti di Barnes: il testamento stabilisce che la collezione non possa essere data in prestito, spostata o alterata.
2002. Adducendo difficoltà finanziarie, la Barnes Foundation richiede a un giudice di consentire lo spostamento della collezione nel centro cittadino di Filadelfia e di triplicare il numero dei trustee. Tre fondazioni filantropiche promettono di donare 150 milioni di dollari per il nuovo edificio e la dotazione se il trasferimento verrà approvato.
2004. Un giudice stabilisce che la fondazione possa essere trasferita.
2011. Gli Amici della Barnes, contrari al trasferimento, presentano una petizione alla Corte per riaprire il caso. Il giudice rigetta la richiesta.
2012. La Barnes Foundation riapre in centro a Filadelfia. L’edificio, progettato dallo studio Tod Williams Billie Tsien Architects, cerca di replicare le dimensioni e la configurazione delle sale originarie. La nuova Barnes ha più di 300mila visitatori nel primo anno.
Nello sviluppo di un nuovo piano strategico negli ultimi mesi, l’istituzione ha dovuto riconsiderare la sua relazione con Barnes e con i suoi insegnamenti.
La nuova Barnes è più aperta e meno stravagante rispetto alla Barnes del passato. Durante la vita del suo fondatore, veniva vietato l’accesso a chiunque fosse ritenuto appartenente all’establishment artistico, spesso con una lettera firmata dal cane di Barnes. Le prime fotografie a colori della collezione vennero pubblicate soltanto nel 1991. In base al nuovo programma, l’istituzione ospiterà un simposio annuale di laureati, produrrà una prima completa pubblicazione scientifica sulla sua collezione di Cézanne e svilupperà un programma per studiosi residenti.
Tre esposizioni annuali si propongono di gettare nuova luce sulla collezione. Fino al 9 maggio è in corso «Picasso: Grande Guerra, sperimentazione e cambiamento». A fine 2016 è previsto un omaggio ai dipinti Fauve di Braque. Almeno una mostra ogni anno si occuperà di arte o di design non occidentali, due tra le passioni meno conosciute di Barnes. «Questa collezione ha storie incredibili da raccontare a tutti i livelli e sono, finora, solo molto parzialmente note», dice Adrian Ellis, direttore di Aea Consulting che ha fornito consulenze per il progetto.
Alcuni ritengono che il nuovo programma non sia che un altro disconoscimento della visione di Barnes. «Vogliono essere un museo normale, cosa che Barnes era categorico nel non volere», dice Tom Freudenheim, ex direttore del Baltimore Museum of Art. «È partita come un’istituzione prevalentemente didattica, mentre ora la missione è di racimolare denaro», dice Nicholas Tinari, ex studente di Barnes. Il budget operativo della Barnes Foundation è cresciuto in modo considerevole, dagli 8 milioni di dollari del 2011 ai 18 milioni di quest’anno, con una previsione di 24,8 milioni nel 2020.
Il direttore della fondazione, Thom Collins, che ha ricevuto l’incarico a inizio 2015, dice: «Non c’è niente di quanto stiamo facendo che vieti a un visitatore o a uno studente la possibilità di avere esattamente l’esperienza offerta durante la vita di Barnes. Al contempo, chi scelga di essere personalmente utile a programmi speciali, ha la possibilità di farlo. Vogliamo che l’eredità di Barnes sia più visibile e accresca l’impatto dell’istituzione che egli ha creato».
La Barnes non è il solo museo privato a essere finito nell’occhio del ciclone per avere apparentemente abbandonato le sue radici con l’intento di crescere. In giugno, la Frick Collection di New York ha elaborato progetti per abbattere il suo giardino storico e costruire un grande ampliamento. «Ogni museo basato su una singola collezione che io conosca ha subito modifiche, in modo più o meno radicale», sostiene Anne Higonnet, autrice di A Museum of One’s Own: Private Collecting, Public Gift. Il tasso di cambiamento ha visto un’accelerazione nell’ultimo decennio, dice, «quando la popolarità di queste istituzioni ha iniziato ad aumentare. E persino piccoli aggiustamenti possono causare reazioni sorprendentemente violente».
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