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L'Antiquarium di Castellammare da 19 anni aspetta la riapertura

Graziella Melania Geraci

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Varie interrogazioni parlamentari, un ministro ben disposto, due milioni di euro dalla Soprintendenza di Pompei e un’amministrazione comunale che non vuole decidere sulla cultura, sono alcuni degli elementi di una storia lunga quasi venti anni e che rischia di vedere compromessi gli 8mila reperti archeologici dell’Antiquarium di Castellammare di Stabia, chiuso dal 1997 perché inagibile e con carenze igieniche.

Nato nel 1959, al piano interrato di una scuola media, come contenitore temporaneo, l’Antiquarium conserva i risultati della campagna di scavi dell’allora preside Libero d’Orsi sulla collina di Varano dove insiste l’antica Stabiae con le sue ville romane. Il museo vantava 11 sale con un gran numero di affreschi di ogni tipo, dal II fino al IV stile, corredi funerari, lucerne, fibulae, vasi e lo scheletro di una donna morta durante l’eruzione del 79 d.C. 

La chiusura dell’Antiquarium ha dato il via a una serie di progetti della Soprintendenza di Pompei atti alla salvaguardia della collezione archeologica stabiese attualmente in precarie condizioni di conservazione. A fasi alterne diverse sedi sono state individuate per un nuovo museo ma senza una reale attuazione. Quello che appare chiaro è la mancanza di volontà politica delle varie amministrazioni avvicendatesi a Castellammare dal 1997 per risolvere la questione, faccenda che gira intorno a un accordo che preveda il comodato gratuito di alcuni spazi comunali alla Soprintendenza. Probabilmente non si vede di buon occhio la destinazione culturale dei luoghi prescelti preferendone un uso commerciale ma di non sicuro profitto. 

Al 2010 risale una convenzione tra il Comune, il Ministero e la Regione Campania per realizzare un museo e una scuola di restauro alla Reggia di Quisisana, riportata allo splendore con 16 milioni di euro di fondi Cipe. Ma l’unico passo in tal senso fu, nel 2014, una mostra dal titolo emblematico «Dal buio alla luce», con trentotto tra i reperti più significativi provenienti dall’Antiquarium e che fanno ancora bella mostra di sé nella Reggia dopo due anni (fino al 31 dicembre). Quello che doveva essere il primo passo per il nuovo Antiquarium, come ribadito dallo stesso ministro Franceschini in visita alla mostra nell’aprile 2015 insieme al soprintendente di Pompei Massimo Osanna, è diventato il manifesto del contendere in una Castellammare commissariata. Tra gli aspiranti candidati a sindaco nelle elezioni del mese scorso solo uno ha inserito esplicitamente la questione Antiquarium nel suo programma, gli altri si sono persi in generiche promesse non citando però l’argomento «museo». 

La chiusura dell’Antiquarium non è stata tuttavia proprio negativa per tutti: la Fondazione Restoring Ancient Stabiae (Ras) ha stipulato nel 2006 un contratto di sponsorizzazione con la Soprintendenza di Pompei divenendo così il soggetto che può svolgere a proprie spese scavi, conservazione, restauro, valorizzazione e gestione del sito di Stabiae. La Ras ha realizzato grandi mostre grazie ai reperti stabiesi in giro per il mondo, dall’Ermitage all’Hong Kong Museum of Art, ma sulla vera entità della valorizzazione del sito c’è qualche dubbio. Per arrivare a Villa San Marco, la più grande villa d’otium della Campania, nell’area di Varano, si cammina lungo una stradina su cui si affacciano abitazioni tra il fatiscente e il trasandato; poco prima, nella zona del parcheggio, campeggiano tre enormi strutture di copertura, sono gli scheletri del Visitors centre che la Ras si era impegnata a realizzare dal 2001, un cantiere fermo da molto, troppo tempo. Continuano invece gli scavi nelle ville a opera della Restoring Ancient Stabiae, almeno fino allo scorso anno, forse nella speranza di nuove scoperte da portare in eventi lontani dai siti da rivalutare. Sotto l’egida della Ras è anche il Vesuvian Institute, un hotel che si presenta come un campus per studiosi e che offre pacchetti turistici tutt’altro che scientifici ed economici. Come asserito nell’interrogazione parlamentare del 3 luglio 2013: «...a quale titolo operi nell’area archeologica del sito di Stabiae la fondazione Ras e con quali modalità vengano selezionati i partner privati, anche universitari, che hanno la possibilità di operare sul delicato patrimonio artistico e archeologico stabiese, e se, ove presenti, non sia il caso di rivedere o risanare eventuali rapporti esistenti tra il Ministero per i Beni e le Attività culturali e detta fondazione privata, atteso che la stessa non apporta secondo l’interrogante alcun beneficio allo sviluppo collettivo ma, prefigura di fatto una privatizzazione per gli interroganti inaccettabile del sito archeologico di Stabiae...». 

 




Il cosiddetto Planisfero, uno dei reperti conservati nell’Antiquarium di Castellammare di Stabia. Foto tratta da Wikipedia. © Mentnafunangann | CC BY SA 3.0

Graziella Melania Geraci, 11 agosto 2016 | © Riproduzione riservata

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