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L'ozio di Jefferson

Lidia Panzeri

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Per Thomas Jefferson (1743-1826), che scrisse la «Dichiarazione di Indipendenza» e fu il terzo presidente degli Stati Uniti, il modello virtuoso per una forma urbis che fosse antitetica a quella monarchica, contro cui si era combattuto per arrivare all’indipendenza degli Stati Uniti d’America, non poteva essere che la Repubblica Serenissima e il suo architetto più grande, Andrea Palladio. Nasce così il «Campidoglio», prima a Richmond in Virginia, poi a Washington. Oltre a questa motivazione politica ne esiste un’altra di carattere esistenziale: un ideale di vita, improntato alla filosofia dell’«ozio» di tradizione classica, ampiamente condiviso da Jefferson che, oltre a essere architetto, sapeva di greco e latino. Anche in questo caso il riferimento imprescindibile è Palladio e soprattutto la sua Rotonda, quintessenza della cultura cinquecentesca. Jefferson la imitò nelle due ville che progettò per sé e in molte altre per gli amici. Peccato che a tanto idealismo facesse da contraltare il persistere della schiavitù. Quanto alla forma urbis il modello è il reticolato della città romana. Ora questa vicenda è riassunta nella mostra «Thomas Jefferson e Palladio. La visione di un mondo nuovo», in corso fino al 28 marzo al Palladium Museum, diretto da Guido Beltramini, curatore della rassegna con Fulvio Lenzo (catalogo Officina Libraria). In mostra figurano disegni, sculture, libri rari, modelli di architettura e multimedia. Come testimonianza le 36 fotografie di Filippo Romano realizzate durante il suo reportage in Virginia nel 2014.

Lidia Panzeri, 29 ottobre 2015 | © Riproduzione riservata

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