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Paul Signac, «Volendam, barques de pêche», 1896, venduto da Sotheby’s nel 2013 a 245mila dollari, collezione privata

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Paul Signac, «Volendam, barques de pêche», 1896, venduto da Sotheby’s nel 2013 a 245mila dollari, collezione privata

Jan Brokken: «È l’immaginazione che fa progredire il mondo»

L’autore di «Anime baltiche» e «I giusti» pubblica ora la storia dell’Hotel Spaander nel villaggio costiero di Volendam che per oltre un secolo ha ospitato centinaia di artisti e artiste, trasformandosi in un centro di sperimentazione e confronto

Maurizio Francesconi

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«Non sono uno storico, né uno storico dell’arte. Sono uno scrittore di storie». Jan Brokken (Leida, 1949) non solo è uno dei grandi scrittori olandesi ma, da sempre interessato alle vicende della cultura, dell’arte e della musica del passato più o meno recente, ha raccontato le vite di personaggi famosi (da Giorgio Morandi a Erik Satie, da Joseph Beuys a Hannah Arendt) e i luoghi cui sono legati, raggiungendo un vasto successo. Indimenticabili sono libri come Anime baltiche, in cui ha raccontato Estonia, Lettonia e Lituania attraverso le vite di personaggi celebri, da Mark Rothko a Romain Gary e di persone comuni. Oppure I giusti, dedicato all’olandese Jan Zwartendijk che, direttore della filiale lituana della Philips e console onorario a Kaunas, riesce ad aprire a molti ebrei una via di fuga dall’Europa nazista. O, ancora, L’anima delle città, un «grand tour» attraverso città come Bergamo, Bologna, Düsseldorf, Parigi, Amsterdam e artisti famosi che le hanno abitate. Oggi torna al Salone del Libro di Torino per presentare il suo ultimo libro, La scoperta dell’Olanda (edito come tutti i precedenti da Iperborea, traduzione di Claudia Cozzi). Al centro della storia è l’Hotel Spaander che, nel piccolo villaggio costiero di Volendam, per oltre un secolo ha ospitato centinaia di pittori e scultori, trasformandosi in un luogo di sperimentazione e confronto.

Quando è nata l’idea di scrivere un libro su questo albergo?
Nel 2020 ho letto sul giornale che l’Hotel Spaander era fallito a causa del Covid-19. Molti turisti asiatici continuavano a venire all’«hotel degli artisti» ma poi, improvvisamente, hanno smesso. Quando ho letto la notizia, mi sono subito chiesto: che cosa succederà ai suoi dipinti? Tutte le pareti dell’hotel erano ricoperte da disegni e tele, donati dagli artisti al proprietario dell’hotel, Leendert Spaander (molti di questi sono illustrati nel volume, Ndr). Sono più di 1.400 opere d’arte...

Era già stato in quell’hotel?
Quarant’anni prima, nel 1980, intervistai il giovane poeta olandese Hans Tentije (1944-2023). Volevo saperne di più sul contesto della sua poesia «Thaulow’s dood», La morte di Thaulow. Frits Thaulow era un noto pittore impressionista norvegese. Nato nel 1847 a Oslo, era venuto all’Hotel Spaander diverse volte per lunghi periodi. Morì lì nel 1906. Aveva dipinto troppo a lungo nel freddo di novembre, in piedi sulla diga dello Zuiderzee, il Mare del Sud, dove c’era sempre vento. Sopraffatto dal freddo, tornò in albergo, dove morì durante la notte, a 59 anni. Il problema era come trasportare i resti nella sua terra natale. Non c’era una strada tra il villaggio di pescatori di Volendam e Amsterdam, quindi la bara dovette essere trasportata sul ponte di un traghetto. Un veliero. C’era una fitta nebbia. Riesce a immaginare? Sembrava un film di Fellini, una scena di «E la nave va»! La poesia di Hans Tentije è bellissima. E mi raccontò tutti i retroscena nella taverna dell’Hotel Spaander, sotto i dipinti. 

Quindi ha deciso di scrivere dell’hotel dopo il fallimento? 
Non proprio. Lo scrittore francese Olivier Guez mi aveva chiesto di partecipare a un libro sull’Europa. La sua idea era quella di lasciare che 27 autori provenienti dai 27 Paesi dell’Ue scrivessero una storia su che cosa significhi per loro l’Europa. Il risultato era stato Le Grand Tour (2022), una meravigliosa raccolta di racconti sulla diversità. Avevo deciso di scrivere dell’Hotel Spaander perché, molto prima che si creasse l’Europa economica o politica, esisteva già un’Europa artistica. Gli artisti sono molto più avanti in tutto e sono mille volte più creativi dei politici o degli economisti. Hanno inventato il mondo, gli hanno dato forma. Come disse Einstein: è l’immaginazione che fa progredire il mondo, non la conoscenza. E certamente non la politica.

Che cos’è accaduto a quel punto?
Dopo la pubblicazione tutti volevano saperne di più. L’Hotel Spaander non era ovviamente l’unico hotel per artisti in Europa. L’Hotel Brøndums era la casa di un gruppo di pittori impressionisti scandinavi a Skagen, nel Nord della Danimarca, e simile era la storia dell’Auberge Ganne a Barbizon, in Francia. Ma in nessun altro luogo una colonia di artisti ha avuto così tanti membri ed è durato così a lungo. Durante la sua lunga esistenza, l’Hotel Spaander ha attirato 1.900 artisti, di cui 1.500 provenienti dall’estero: 430 pittori britannici, 180 tedeschi, 120 francesi, almeno 60 scandinavi, più di 200 americani. 
E questo tra il 1881 e il 1932. 

Che cosa lo ha reso un luogo diverso dagli altri? 
Leendert Spaander e sua moglie Aaltje fondarono un hotel che fin dall’inizio era destinato ad accogliere artisti per lunghi periodi. Sul lato nord dell’hotel, dove c’era la luce migliore anche perché si affacciava sul mare, fecero costruire 11 studi. Ogni artista poteva mangiare, dormire e lavorare nell’hotel. Il pittore svedese Ivar Kamke rimase tre anni, il francese Augustin Hanicotte 17, Ferdinand Schmutzer, un famoso fotografo, pittore e incisore di Vienna, venne 28 volte all’hotel, perlopiù a fine estate o inizio autunno. 

Perché tutti questi artisti scelsero un hotel a Volendam, un piccolo villaggio di pescatori?
Per la luce, la luce olandese. E per il cielo in continua evoluzione. Ci sono sempre nuvole in cielo e c’è sempre un’atmosfera drammatica. Perché, e questa era un’altra ragione principale, nulla era cambiato per secoli. Era un villaggio completamente autentico, con case di legno, strade strette e fossati, ponti levatoi, dove gli abitanti (uomini, donne, bambini...) andavano in giro in costumi tradizionali. Non mi crederete, ma Picasso amava questi abiti tradizionali. Molto tempo dopo aver lasciato l’Olanda, collezionava ancora cartoline con questo tipo di costumi. L’Europa si industrializzò rapidamente alla fine del XIX secolo, le ciminiere delle fabbriche apparvero all’orizzonte, ma i pittori ritrovarono qui il paesaggio olandese come nei dipinti dei maestri olandesi del XVII secolo.

Per questo ha intitolato il libro «La scoperta dell’Olanda»?
La scoperta di un’Arcadia quasi perduta. Per Elizabeth Nourse, che veniva da Cincinnati in Ohio e viveva a Parigi, Volendam era «un luogo paradisiaco». I pittori inglesi trovarono interessante il legame tra terra e mare, villaggio e porto, nuvole e vele rosso porpora dei pescherecci. Lo scultore francese Auguste Rodin scrisse in una lettera: «Quanto devono essere felici gli olandesi. Nessun cambiamento».

Questo la sorprende in quanto olandese contemporaneo? 
Assolutamente sì. Conoscevo solo un’osservazione di disapprovazione, del poeta tedesco Heinrich Heine: «Nei Paesi Bassi tutto accade cinquant’anni dopo».

La cosa strana è che anche i più grandi modernisti, come Kandinskij o Bart van der Leck del gruppo De Stijl, erano incuriositi dai costumi tradizionali di Volendam.
Gli avanguardisti hanno bisogno di un terreno solido sotto i piedi per scatenare la loro rivoluzione. E allora avevano fatto affidamento sulla tradizione per fare un balzo in avanti. Kandinskij ha visto dei motivi nei ricami dei costumi, un’astrazione che risale al passato. Questo è il suo genio. Paul Signac, il pointilliste, ha visto dei motivi nel riflesso delle vele nell’acqua. E ha realizzato la sua opera più rivoluzionaria a Volendam.

Che cosa la spinge a indagare il passato nei suoi libri?
Il passato è lo specchio del futuro. Dato che quasi tutti i politici negli Stati Uniti e in Europa sembrano impazziti, è giunto il momento che gli artisti si riuniscano di nuovo per portare una ventata di aria fresca nel mondo. Spero che il mio libro sia di ispirazione per le nuove generazioni.

Quindi il suo libro non ha nulla a che fare con la nostalgia?
Assolutamente no. L’Hotel Spaander non era solo una delle più grandi colonie di artisti mai esistite, ma anche la prima in cui le artiste partecipavano in gran numero. Il mio libro è un lungo appello all’uguaglianza e alla tolleranza. Un tempo questi erano i pilastri della società europea. Perché li abbiamo dimenticati?

Come in molti dei suoi libri, le storie dei singoli sembrano raccontare anche una storia collettiva. 
Mi capita di imbattermi in un argomento sconosciuto. Poi inizio a indagare. Ciascuno dei miei libri è una ricerca. Porto il lettore con me, gli dico: vieni con me, camminiamo, viaggiamo, guardiamo, scopriamo insieme. E insieme, lungo il percorso, impariamo storie. Storie incredibili. Non parlo della feccia dell’umanità o della morte, o di amore e odio, o di gelosia e paternità. In La scoperta dell’Olanda c’è una triste storia sul massacro di un bambino. Non dico altro a riguardo. Ma io stesso sono rimasto stupito fin dove possa spingersi la gelosia. È così che porto sempre con me il lettore. Alla fine del libro ci lasciamo come compagni di viaggio. E poi aspettiamo di iniziare insieme un nuovo libro. Un nuovo viaggio di scoperta.

Maurizio Francesconi, 15 maggio 2025 | © Riproduzione riservata

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