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AKAA – Also Known As Africa

© Baptiste de la Ville d'Avray

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AKAA – Also Known As Africa

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Il ruolo delle fiere satellite durante la Paris Art Week

Da Paris Internationale ad AKAA, da Asia Now a Outsider Paris, il sistema dell’arte si ridefinisce anche ai margini

Ludovica Zecchini

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In un ecosistema artistico sempre più strutturato attorno a nodi globali di potere - Art Basel in testa - la Paris Art Week dimostra che la vitalità del sistema non risiede solo al centro. Se Art Basel Paris, al Grand Palais Éphémère, conferma il suo ruolo di baricentro commerciale e mediatico, a renderla davvero significativa è la costellazione di fiere satellite che, attorno a essa, animano la città con visioni alternative e proposte curatoriali autonome.

Il loro ruolo non è ancillare, né residuale. Si tratta piuttosto di spazi laterali, certo, ma sempre più strategici, dove la sperimentazione è possibile, la scoperta è reale e la pressione della conferma si allenta. Le fiere satellite non negano la centralità, ma la completano e la interrogano, offrendo letture plurali, prospettive decentrate, e soprattutto la possibilità di vedere ciò che ancora non è stato del tutto validato dal sistema.

Paris Internationale, alla sua undicesima edizione, ne è un esempio emblematico. Allestita in un ex centralino telefonico di epoca industriale (Poste Bergère-Trudaine), la fiera propone una selezione curata di circa 50 gallerie da tutto il mondo, con un’attenzione particolare per le pratiche emergenti e le narrazioni non lineari. Accanto a nomi già riconosciuti del circuito indipendente (come Ciaccia Levi, KOW, greengrassi), si segnalano voci nuove come Lux Feminae, curatorial collective fondato da Olivia Zabludowicz e Lily Cohen (con base tra Parigi e New York), che presenta il progetto Hold On, There, una riflessione stratificata di Daniele Toneatti e Hedi Stanton sui temi della memoria e dell’identità, attraverso pittura e fotografia.

Altre fiere perseguono obiettivi diversi, ma altrettanto mirati. AKAA – Also Known As Africa, al Carreau du Temple, si è affermata come piattaforma imprescindibile per l’arte africana contemporanea e diasporica. La selezione 2025 è articolata e internazionale, con la partecipazione di artisti come Mario Macilau, Terry Aidoo e Stéphané Edith Conradie, e gallerie come Movart. Il comitato curatoriale include figure trasversali al mondo dell’arte e della cultura visiva, come Eve Therond e Andy Amadi Okoroafor. AKAA non si limita a rappresentare geografie specifiche: propone una ridefinizione del canone, attraverso prospettive fino a poco tempo fa marginalizzate.

La stessa logica di dislocazione critica anima Asia Now, che concentra la sua programmazione sull’arte contemporanea asiatica, con particolare attenzione ai contesti emergenti. La sua presenza al Palais Brongniart e in altre sedi del centro città riflette una volontà di diffusione e apertura, ben oltre i confini di una fiera tradizionale. La forza di Asia Now sta nella capacità di dare voce a scene artistiche complesse, spesso trascurate dal mainstream occidentale, e di trasformare ogni edizione in un palinsesto curatoriale coerente e impegnato.

Altre fiere, come Outsider Paris, abbracciano in modo radicale le pratiche artistiche ai margini. Ospitata al Bastille Design Center, la manifestazione - alla sua seconda edizione - riunisce oltre 30 gallerie da Europa e Stati Uniti, tutte dedicate all’art brut e alla creatività non addomesticata dalle regole del mercato o della formazione accademica. Il riferimento esplicito è alla nozione di “artista outsider” elaborata da Jean Dubuffet nel 1945: una figura creativa che agisce fuori dagli schemi, e che proprio per questo rende visibile ciò che la norma tende a escludere.

In questa stessa direzione si muove anche Offscreen, progetto dedicato all’installazione e all’immagine in movimento, che per l’edizione 2025 si reinventa in una sede altamente evocativa: la Chapelle Saint-Louis de la Salpêtrière, edificio carico di memoria lungo la Senna. Qui le gallerie presentano opere immersive e site-specific, in un formato lontano dalla logica della “boîte blanche”. Il programma - curato da L.A.M Studio - rende omaggio alla pioniera della videoarte Shigeko Kubota, proponendo opere raramente esposte in Europa. Offscreen non è una fiera nel senso tradizionale, ma un dispositivo curatoriale diffuso, dove spazio, forma e contenuto si sovrappongono.

Dunque, se il futuro dell’arte non si decidesse al centro, ma ai margini? Art Basel Paris resta il fulcro imprescindibile della Paris Art Week, con la sua capacità di catalizzare l’attenzione globale e definire gli standard del mercato internazionale. Tuttavia, è proprio attorno a questo epicentro che le fiere satellite si configurano come laboratori di innovazione, proponendo approcci meno convenzionali e offrendo al sistema nuove energie e visioni. Sono queste realtà laterali, con la loro flessibilità e audacia, a rappresentare la linfa vitale necessaria per immaginare e costruire il futuro dell’arte contemporanea.

Le piattaforme satellite differenziano l’offerta non solo in termini di contenuto, ma soprattutto di approccio. Lontane dal modello fieristico canonico - rapido, commerciale, a volte impersonale - queste realtà costruiscono ambienti più porosi, intimi, sperimentali. Il loro valore risiede proprio nella capacità di sottrarsi alla standardizzazione, offrendo ai visitatori (collezionisti, curatori, critici o semplici appassionati) un tempo più lento e una relazione più profonda con le opere.

Ludovica Zecchini, 23 ottobre 2025 | © Riproduzione riservata

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