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Guido Guerzoni, Amina Guasco e Giovanna Pallotta/Formules
Leggi i suoi articoliSecondo le fonti internazionali esistono nel mondo circa 850 editori specializzati in campo artistico e culturale. Un numero di certo sottostimato ma comunque imponente, che costringe a ponderare con attenzione i criteri di selezione di un campione minimamente rappresentativo. Per questo studio sono stati selezionati 16 editori italiani, 22 europei e 16 statunitensi, in virtù di 9 criteri: le dimensioni del fatturato (grandi: più di 25 milioni di euro; medi; 5-15 milioni; piccoli: meno di 5 milioni); la longevità, considerando sia realtà storiche, sia di recente costituzione; la presenza nazionale (tematica e distributiva) con l’esclusione dei soggetti operanti solo a livello locale/regionale; l’internazionalità del modello di offerta, selezionando quanti hanno anche edizioni e distributori internazionali; il business model, includendo editori puri e realtà che operano in più ambiti della gestione e valorizzazione dei beni culturali; la governance, con marchi/branch di gruppi e realtà indipendenti, enti commerciali e non; i temi, annoverando sia soggetti plurisettoriali con titoli su arte, design, lifestyle, moda, fotografia, architettura e food, sia verticali focalizzati su temi specifici; l’ampiezza della copertura cronologica, privilegiando le case che spaziano dall’archeologia all’arte contemporanea; e, infine, la disponibilità delle informazioni economico-finanziarie, considerando solo le aziende di cui erano disponibili i bilanci.
L’analisi dei dati e delle politiche editoriali rivela quattro tendenze generali:
• In primis, la sofferenza degli editori generalisti tradizionali: la marginalità e i fatturati sono in calo (in Italia solo 6 editori su 16 registrano un saldo utili/perdite positivo su 2014-24) per via dei crescenti costi di produzione e dei mutati gusti del pubblico. Le nuove generazioni non amano gli oggetti fisici, hanno pochi soldi da spendere e ancor meno spazio da arredare.
• Seconda tendenza, la diversificazione delle fonti di ricavo: più del 60% degli editori italiani ed europei ricava dalla produzione editoriale (libri, cataloghi, magazine ecc) meno del 40% del fatturato: il resto viene dall’erogazione di servizi, dalla gestione degli shop alla produzione di mostre itineranti, dalla curatela del merchandising alla produzione di contenuti digitali. Le migliori performance economiche sono quindi conseguite dai soggetti che hanno maggiormente diversificato il loro business model. Parimenti è proseguito l’ampliamento della gamma tematica: alla produzione di illustrati a soggetto artistico si sono affiancati titoli dedicati ai temi più vari (dal design agli animali, a moda e viaggi), con una significativa frammentazione dei sottogeneri, mentre continuano a proliferare i soggetti non editoriali (società di comunicazione, aziende, designer, brand di moda, gallerie, studi grafici, artisti, content creator ecc.) che sviluppano iniziative senza finalità di lucro, concependole come strumenti di autopromozione, collezionabili e/o progetti creativi collaterali.
• Terza tendenza, la transizione digitale: molti editori stanno puntando sull’espansione internazionale, contando sui nuovi mercati, sulla crescita delle vendite online e su contenuti culturali nativi digitali come podcast, video podcast, short video, newsletter, sempre più diffusi specialmente tra i più giovani. In questa prospettiva il digitale è uno strumento integrato nelle strategie che offrono un’offerta cartacea e digitale parallela, mentre la crescita della qualità della stampa digitale rende sostenibili produzioni che in passato non avrebbero raggiunto il «print run» minimo, con limiti distributivi superati dall’evoluzione delle vendite online. Per rafforzare le loro comunità di clienti/lettori e promuovere la «brand awareness» molte case editrici hanno poi creato spazi ad hoc aperti al pubblico che offrono un ricco programma di attività collaterali.
• Quarta tendenza generale, i nuovi concorrenti e le nuove opportunità. Negli ultimi dieci anni si è affermato un nuovo fenomeno nel panorama editoriale globale: la nascita di marchi editoriali detenuti da istituzioni museali e culturali (tra i moltissimi: Éditions du Centre Pompidou, GrandPalaisRmn, Victoria and Albert Museum Publications, Publicaciones del Prado, Vitra Design Museum Publications, Musée du Louvre, Fondation Cartier pour l’Art Contemporain, National Gallery of Art Publications, Mnac Edicions, Museum Ludwig Publications, Beyeler Publications...) che pubblicano in autonomia senza ricorrere a editori esterni o stipulano partnership circoscritte (spesso distributive) a edizioni «cobranded». Questa tendenza riflette la crescente volontà di gestire autonomamente la produzione e la diffusione dei propri contenuti (all’interno di media/content department sempre più imponenti e crossmediali), unendo la missione educativa alla pubblicazione di opere scientifiche e divulgative. Spesso i musei e le istituzioni culturali, raggiunta una certa dimensione, trovano più conveniente creare un proprio marchio editoriale e mantenere il pieno controllo sul processo creativo, scientifico e produttivo, rafforzando la propria identità e gestendo direttamente i diritti di riproduzione e distribuzione digitale.
Questa tendenza rappresenta una sfida per gli editori, che si trovano a fronteggiare una contrazione della domanda tradizionale (per decenni l’editoria su commessa, come i cataloghi di mostre e quelli ragionati, è stata l’attività più importante e remunerativa, anche per l’assenza di rischi e per i margini di guadagno) e la concorrenza distributiva di soggetti capaci di attrarre un pubblico ampio, grazie a risorse interne qualificate e collaborazioni internazionali, spingendo gli editori a ripensare i propri modelli di produzione e distribuzione. In linea con quanto illustrato, stanno proliferando i magazine (spesso in formato esclusivamente digitale) fondati da musei e istituzioni culturali che stanno ridefinendo le forme di comunicazione artistica, offrendo contenuti esclusivi e approfondimenti: con una distribuzione globale raggiungono pubblici giovani, competenti e collaborativi, divenendo protagonisti autorevoli e ascoltati. Una piccola rivoluzione nella direzione della democratizzazione dell’accesso alla cultura, valorizzando politicamente gli «user generated content» e stimolando il dibattito globale sulle sfide da affrontare nel XXI secolo.