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Francesca Romana Morelli
Leggi i suoi articoliIndaga sugli esordi del Cavaliere Calabrese, tra i maggiori esponenti della pittura seicentesca, la mostra «Mattia Preti: un giovane nella Roma dopo Caravaggio», in corso fino al 18 gennaio alla Galleria Nazionale d’Arte Antica in Palazzo Corsini, ideata da Vittorio Sgarbi e da Giorgio Leone, ex direttore del museo e curatore della rassegna, finanziata dalla Regione Calabria nell’ambito delle celebrazioni per la ricorrenza della nascita di Preti, presiedute da Sgarbi, e delle iniziative giubilari del Ministero dei Beni culturali.
Nato nel 1613 a Taverna nella Sila, da una famiglia nobile che lo fa studiare, ancora giovanissimo si trasferisce a Roma, dove lavora il fratello Gregorio, anche lui pittore.
«Abbiamo riesaminato le tappe iniziali della carriera di Preti a Roma fino al 1649, anno della commissione dello stendardo giubilare di San Martino al Cimino, che abbiamo esposto perché apre alla stagione delle imprese monumentali nei primi anni Cinquanta, spiega Leone. La mancanza di documenti rende difficile stabilire quando Preti arrivi nella città papale e i contatti avuti dalla metà degli anni Venti. Abbiamo sfruttato la ricchezza delle collezioni della Corsini, sviluppando l’itinerario espositivo su un confronto diretto con i dipinti dei pittori ai quali Preti sembra ispirarsi: oltre al fratello Gregorio, Caravaggio, Poussin, Lanfranco, Guido Reni e Guercino. Il suo talento versatile e sperimentatore, sensibile al mercato, è ancora più marcato, tanto da indurre ad anticipare il suo arrivo a Roma al 1628».
Nel 1653 si trasferisce a Napoli e nel 1661 a Malta, dove muore nel 1699. Sono esposti 22 dipinti provenienti quasi tutti da istituzioni italiane e collezioni private anche straniere, tra cui, il «Miracolo di san Pantaleo», «Sofonisba riceve la coppa di veleno», «La negazione di Pietro», «Rinaldo e Armida», «Fuga da Troia» e il «Tributo della moneta» dalla Pinacoteca di Brera, per la prima volta posto a confronto con il «Tributo» della Galleria Corsini.
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