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Performance di Helen Cammock (al centro nella foto) in collaborazione con il Centro Culturale Mondinsieme e Progetto Rosemary, con cui l’artista ha lavorato durante la sua residenza a Reggio Emilia. Collezione Maramotti, Reggio Emilia, 12.10.2019. Foto Emiliano Barbieri. Cortesia Collezione Maramotti

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Performance di Helen Cammock (al centro nella foto) in collaborazione con il Centro Culturale Mondinsieme e Progetto Rosemary, con cui l’artista ha lavorato durante la sua residenza a Reggio Emilia. Collezione Maramotti, Reggio Emilia, 12.10.2019. Foto Emiliano Barbieri. Cortesia Collezione Maramotti

Helen Cammock: «Il corpo è rivoluzionario e il tatto è centrale»

Intervista all'artista nominata al Turner Prize 2019 che ha una mostra alla Collezione Maramotti

Giusi Diana

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Reggio Emilia. In occasione dell'inaugurazione della sua personale italiana «Che si può fare», fino al 16 febbraio alla Collezione Maramotti, abbiamo incontrato Helen Cammock, vincitrice della settima edizione del Max Mara Art Prize for Women e nominata al Turner Prize 2019. La mostra è nata in seguito ai sei mesi di residenza, che nel 2018 Cammock ha trascorso nel nostro Paese, organizzata da Max Mara, Whitechapel Gallery di Londra e Collezione Maramotti. Le città nelle quali è risieduta sono state Bologna, Firenze, Venezia, Roma, Palermo e Reggio Emilia, esplorando l'espressione del «lamento» e riscoprendo voci femminili nascoste o dimenticate.

Nel video su tre schermi dal titolo «Chorus I» a un certo punto si sente la frase «you feel your body», il corpo è rivoluzionario?
Sì, e la voce ne è parte, anche se comunemente si pensa che sia separata dal corpo. Questo lavoro, il video «Chorus I», è tutto incentrato sul corpo delle donne, sul femminile, sulla voce e sullo spazio che essa conquista, ma anche sulle diverse donne nel mondo e sul modo in cui gli altri le vedono. Si può separare una voce da un corpo, talvolta penso che noi donne smettiamo di essere in contatto con la nostra voce...

Definirebbe il suo approccio sinestetico?
Sì, a me interessa il modo in cui tutti i sensi lavorano in connessione tra di loro, il rapporto che si crea ad esempio tra immagine e voce, e come noi lo avvertiamo. Nella performance (il 12 ottobre Cammock ha cantato dal vivo in occasione dell'inaugurazione, accompagnata da una trombettista jazz, su musiche di compositrici italiane dimenticate, Ndr) il tatto e il modo in cui tocchiamo gli altri è centrale, toccando il volto l'una dell'altra si può sentire l'energia di ciascuna, è guardandosi negli occhi che si ottiene una connessione. Preparando la performance con il gruppo, abbiamo lavorato insieme per raggiungere l'obiettivo che era toccarsi l'un l'altra vincendo le resistenze, guardarsi negli occhi, sentirsi nei panni di qualcun altro. Nel film, nella performance, quando canto la mia voce viene da tutto il mio corpo... ho avuto molte conversazioni a questo proposito, su come utilizzare la voce, con Monica Benvenuti, una cantante d'opera sperimentale, e a Bologna ho preso lezioni di canto per provare a cantare l'aria della Strozzi (la compositrice Barbara Strozzi 1619-1677, Ndr), con tutto il mio corpo, non solo con la voce. È importante che cosa sento mentre canto, stando completamente con tutta me stessa dentro la musica.

C'è un'attitudine tutta femminile in questo modo di sentire il corpo?
Sì, penso che sia differente il modo in cui sentiamo; tutto ciò che i media e l'immaginario ci suggeriscono è guardare l'aspetto del corpo, la sua esteriorità, ma penso sia molto più interessante ciò che il corpo sente, e come sente. Quando ho lavorato con persone giovani e altre donne, l'esigenza che emergeva era più quella di approfondire come ci si sente nel proprio corpo, più che come appariamo in esso, ed è una lotta per molte donne, per la maggior parte di loro, perché ha a che fare con la personificazione di te stessa.

Ci parli dell'importanza del suono nel suo lavoro.
Il suono nella performance e nel film non è solo legato alla voce, questo è evidente ad esempio nell'importanza nel video del suono dell'acqua della fontana (di Piazza Pretoria a Palermo, Ndr), che ho amato molto. Il suono dell'acqua è un elemento chiave ricorrente nel film, il modo in cui l'acqua scorreva fuori dalla bocca di ciascun animale (le teste scolpite che emettono il getto d'acqua) era musicale per me. Come ascoltiamo anziché come vediamo ha a che fare con la poesia, per me la poesia è questo canto, il come ascoltiamo le cose ed è diverso per ciascuno di noi. [... ] Nel film c'è la relazione tra il suono, la voce e l'ambiente, o meglio i diversi ambienti. Una lunga sezione è girata a Venezia, altra città dove vi è un suono dell'acqua.

Si può parlare di un'espressione di energia tra persone, oggetti e città, e che il suono ne è la forma?
Assolutamente sì e spesso (anche se meno in questo film) in altri ho montato l'audio di una parte di un film con le immagini di un altro e nessuno lo ha notato, ma è un modo per creare questo spazio liminare tra l'immagine e il suono.

Performance di Helen Cammock (al centro nella foto) in collaborazione con il Centro Culturale Mondinsieme e Progetto Rosemary, con cui l’artista ha lavorato durante la sua residenza a Reggio Emilia. Collezione Maramotti, Reggio Emilia, 12.10.2019. Foto Emiliano Barbieri. Cortesia Collezione Maramotti

Giusi Diana, 15 novembre 2019 | © Riproduzione riservata

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