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Silvano Manganaro
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Il giovane gallerista scozzese James Gardner ama i traslochi e a settembre approda a Trastevere: «Il mio lavoro è una vera e propria pratica artistica e le mie scelte sono estensioni della mia creatività»
Sin dalla sua apertura, quasi cinque anni fa, la Frutta Gallery di James Gardner si è ritagliata un posto tutto speciale nel panorama delle gallerie romane: integrata (e ormai imprescindibile) nel tessuto cittadino ma allo stesso tempo esclusiva, tanto da sfiorare l’idea di enclave caparbiamente autonoma, anche a livello «linguistico».
Gardner, giovanissimo, l’ha gestita e fatta crescere a suo modo, con scelte rigorose e un approccio internazionale. Il fiuto, la visione e la flessibilità dell’intraprendente gallerista sono ben esemplificati dai cambiamenti di sede: prima apertura in via della Vetrina, che aveva goduto di grandi entusiasmi all’epoca; poi lo spostamento a pochi passi dal Colosseo (concordando spesso i propri opening con la vicina T293), nel tentativo di dar vita, in una zona insolita per l’arte contemporanea, a un nuovo distretto, già in parte (inutilmente) arato da S.A.L.E.S. e Z2o; infine, a settembre, il trasloco a Trastevere (in via dei Salumi 53, a due passi dalla chiesa di Santa Cecilia), che torna a essere zona cruciale per l’arte a Roma. È qui che Gardner porterà i suoi artisti (Stefano Calligaro, Gabriele De Santis, Stephen Felton, Ditte Gantriis, Lauren Keeley, Jacopo Miliani, Alek O., Alex Rathbone, Santo Tolone e Yonatan Vinitsky) e chissà che cos’altro.
Com’è nata nel 2012 l’idea a un venticinquenne scozzese di Glasgow di aprire una galleria a Roma?
Ero giovane e senza paura. Poi Roma è la città più bella del mondo.
Perché il nome Frutta? Lo sa che, in italiano, frutta è sia un sostantivo sia il presente indicativo di fruttare, ovvero far guadagnare?
No, non lo sapevo. Più che altro mi interessava la struttura formale della parola frutta. È un insieme di lettere perfetto. Inoltre in giro per Roma la parola frutta, per ovvie ragioni, è in ogni dove. Dunque mi piaceva l’idea di camuffarmi dietro un nome solitamente usato in tutt’altri contesti e luoghi.
A un primo sguardo Frutta Gallery è caratterizzata da una rigorosa scelta generazionale. I suoi artisti sono tutti trenta-quarantenni (si va da Stefano Calligaro nato nel 1976 ad Alex Rathbone, classe 1987), la vostra comunicazione è insolita (sono noti i vostri comunicati stampa) e una linea espositiva con un gusto estetico molto coerente. Come motiva le sue scelte e come descriverebbe la filosofia, sia teorica sia strategico-economica che sta alla base della sua galleria?
Avere una galleria è una vera e propria pratica artistica. Credo che le scelte siano tutte estensioni della mia creatività. Ogni persona coinvolta, ogni collaborazione e ogni decisione rientrano in un’idea delineata da criteri estetici e concettuali ben precisi.
In cinque anni ci sono stati tre traslochi. Un nomadismo che è sia fisico sia mentale?
Frutta, appunto, approda a settembre nella sua nuova terza sede, Trastevere. Traslocare è sempre molto eccitante per me e per gli artisti. Non mi piace fare più di una mostra a un artista nello stesso spazio. In questo modo gli artisti che rappresento hanno l’opportunità di lavorare sempre in un nuovo contesto.
Com’è composto lo staff della galleria?
Da me, naturalmente, e dalle due colonne portanti: Carla (director) e Clelia (gallery manager). Entrambe sono molto preparate, entrambe sono a strettissimo contatto con tutti gli artisti della galleria.E tutte e due sono molto «energiche». E poi ci sono tutti gli artisti, che anche se non sono in ufficio insieme a noi, sanno benissimo di lavorare in una squadra.
Quali sono i rapporti con altre gallerie romane e non?
La galleria è un veicolo in continua ricerca di collaborazioni e connessioni. A Roma, in Italia e nel mondo. Sono tantissime le realtà con cui collaboriamo e siamo sempre pronti a valutarne e ricercarne di nuove.
Ci può dire qualcosa della prossima mostra in programma?
Dal 15 settembre all’8 ottobre apriamo la nuova galleria con un nuovo artista italiano residente a Glasgow, Marco Giordano, classe 1988. Io sono originario di Glasgow e mi sono trasferito a Roma nello stesso anno in cui lui si è trasferito in Scozia dall’Italia. Sarà interessante vedere come le due diverse culture hanno influenzato le nostre rispettive pratiche. Poi ospiteremo mostre di artisti «storici» della galleria: Ditte Gantriis, Alek O., Gabriele De Santis e Jacopo Miliani.
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