Nel Musée cantonal des Beaux-Arts è visibile fino al 27 agosto l’installazione cinematografica «We ate the wind» di Emily Jacir. «È un’opera, racconta la curatrice Nicole Schweizer, potente e commovente che affronta le questioni della visibilità e dell’invisibilità, della vicinanza e della distanza, dell’ospitalità e dell’esclusione, per esplorare un aspetto recente della politica svizzera sull’immigrazione e il suo impatto sugli individui e sulle comunità». Terminata la seconda guerra mondiale la Svizzera ha adottato una politica fondata sulla «raccolta di lavoratori ospiti», non destinati a stabilirsi permanentemente.
Tale scelta ha dato vita a uno status, abolito solo nel 2002, di lavoratori stagionali. Una condizione che negava il ricongiungimento familiare e, talvolta, costringeva i figli degli immigrati a nascondersi nell’ombra e nel silenzio. Partendo dalla sua storia personale e ispirata dalle danze tradizionali del Sud Italia, come la «pizzica», insieme alla sua comunità di ballerini e musicisti, Jacir (Ramallah, Palestina, 1970) ha creato un’armoniosa sinfonia di movimenti e suoni così che il silenzio imposto ai bambini venga contrastato dal ritmo, e la solitudine e la reclusione siano sostituiti con la gioia del movimento.
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