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Chiara Coronelli
Leggi i suoi articoliConsidero mio dovere essere per quanto posso di bell’aspetto. Con il mio esempio voglio aiutare le donne tedesche a diventare vere rappresentanti della loro razza». Parole che si possono ancora ascoltare nel discorso con cui Magda Goebbels nel 1933 inaugura il Deutsche Modeamt (Ufficio della Moda Tedesca), di cui è presidente. Unica donna a giocare un ruolo pubblico nella Germania nazista, tanto che si presta al ruolo di first lady ogni volta che il Führer lo richiede, la moglie del ministro della Propaganda del Terzo Reich diventa il modello della modernità femminile tedesca: impeccabile, madre di sei figli, bella e soprattutto elegante. Eppure, per quanto funzionale all’immagine cosmopolita che il regime intende esportare, la sua figura incarna quella sorta di «schizofrenia» che affligge la moda della Germania negli anni Trenta, divisa tra forze contradditorie che se da un lato vogliono la conferma di una solidità insensibile alle frivolezze, dall’altro subiscono il fascino dell’evasione che il glamour promette, senza poi trascurare l’importanza che l’industria della moda occupa nell’economia del Paese. Lungo questa linea si sviluppa «Anche Greta vuole essere chic. Moda femminile degli anni Trenta», la mostra allestita fino al 29 maggio allo Stadtmuseum di Monaco (catalogo Hirmer Verlag).
Curata da Isabella Belting e realizzata in collaborazione con il Deutsche Meisterschule für Mode, la rassegna è il risultato dello studio e del restauro della collezione di moda anni Trenta del museo, di cui molti pezzi vengono qui esposti per la prima volta. Organizzato in sezioni che vanno dagli abiti da sposa a quelli da sera, dai vestiti da giorno ai negligés, dalle tenute per lo sport ai costumi da bagno, il percorso conta quasi 150 capi presentati su manichini fatti a mano, insieme a una vasta serie di accessori, illustrazioni, riviste dell’epoca, fotografie e manifesti; oltre a riproporre la storia della stessa Deutsche Meisterschule für Mode, l’accademia di moda fondata a Monaco nel 1931 e tuttora attiva. Il titolo indica come il desiderio di essere attraenti possa sopravvivere anche in un decennio segnato dalla Depressione e dall’orrore nazista che avanza, e contro le linee di una politica che avrebbe voluto militarizzare l’aspetto delle donne, imponendo silhouette rigide e la rinuncia a trucco e acconciature. La moda diventa il terreno di un dibattito ideologico in cui la critica conservatrice non riesce a tenere lontano il potere della seduzione, perché «anche Greta vuole essere chic», come le sue sorelle francesi e americane. Per la sera in lungo, si trovano velluti di seta, tulle di cotone e paillette; lamé per le camicie da notte e colli in pelo per le vestaglie; tailleur sportivi in lana e pelle; abiti sotto il ginocchio in crêpe de chine e lana, con spalle a sbuffo, per il pomeriggio. E poi le illustrazioni tratte da periodici come «Mode und Heim», «Wiener Mode» e «Deutsche Moden-Zeitung». Persino tra gli slogan nazisti che stavano trascinando il mondo dentro la guerra, la scelta di un vestito conquista un rilievo destinato presto a rivendicare il proprio valore sociale e filosofico.
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