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Caro Gianni, quando giocammo a calcio...

Caro Gianni, quando giocammo a calcio...

Fabio Sargentini

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Sto seguendo alla tv una partita di calcio. Squilla il telefono: è morto Kounellis. Sbiadiscono i colori delle maglie dei giocatori, scema l’audio della partita: sono come inebetito. È una notizia che respingo lì per lì. Ma è vero? domando a mia moglie Elsa che ha risposto al telefono. Purtroppo, mi dice, la notizia è stata data dal tg della notte. Socchiudo gli occhi velati di lacrime, rientro in me stesso, scorrono le immagini del passato... È settembre 1966. Ho rotto i ponti con mio padre e sto per varare una galleria tutta mia. Con me ho già preso Pascali, ora ho messo gli occhi su Kounellis. Mi accoglie nel suo studio Jannis con la prima moglie Efi, entrambi venuti dalla Grecia ventenni per studiare all’Accademia di Belle Arti con Toti Scialoja. Formano una coppia affiatatissima, si percepisce in loro il sacro fuoco dell’arte. Lui ci crede e lei crede ciecamente in lui. La creazione artistica è al primo posto, sono fieri anche se poveri. Nonostante abbia esposto alla galleria La Tartaruga e sia stimato, Jannis se la passa male economicamente. Per di più gli è insorta una grossa cisti al polso destro, come a dire, per un pittore, un impedimento al ferro del mestiere. È un momento difficile, deve operarsi a breve. Ebbene, appena fatto l’accordo tra noi, che non consiste nell’acquisto di un singolo quadro, ma prevede una duratura collaborazione, non gli regredisce la cisti in pochi giorni spontaneamente? Riapro gli occhi, la partita di calcio alla tv volge al termine. Elsa mi mostra l’immagine della mostra più famosa di Kounellis, i cavalli vivi al garage de L’Attico, che circola ormai ampiamente sul web. Mi rivedo davanti alla saracinesca mentre entrano i quadrupedi. Pascali era già morto, purtroppo, quando decisi di spostare L’Attico dall’ultimo piano di piazza di Spagna nel garage underground di via Beccaria. Era toccato dunque a Jannis il privilegio di deflorare quello spazio vergine, rivoluzionario in termini espositivi. E lui aveva optato per i cavalli vivi. Com’era nervoso, e ne aveva ben donde, nei giorni precedenti la mostra! Saliva e scendeva di continuo dai treni. Partiva da Roma e arrivato a Firenze ripartiva per Roma. Da una stazione all’altra, con la stessa compulsione con la quale si accendeva le sigarette. M’incaricai io di noleggiare dodici cavalloni olandesi al maneggio di Villa Borghese. Quando furono entrati tutti in galleria, Jannis li dispose in semicerchio a un paio di metri di distanza l’uno dall’altro, con dei grossi ganci di ferro che fissavano le briglie al muro. Se ne sarebbe ricordato Gino De Dominicis quando allestì alla stessa maniera circa un anno dopo lo Zodiaco vivente… Intanto la partita di calcio alla tv è terminata. All’improvviso ho un flashback di me e Kounellis che giochiamo a pallone insieme. La squadra degli artisti contro quella dei tipografi, gli stessi che avevano stampato il manifesto dei cavalli. Jannis disse che il suo ruolo da ragazzo era stato il portiere. E in porta infatti giocò. Peccato che finì tre a zero per i tipografi… 

Al gioco del calcio no, ma in arte sì che sei stato un fuoriclasse, Gianni! 

Fabio Sargentini
 

Fabio Sargentini, 02 marzo 2017 | © Riproduzione riservata

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