Image

Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine

Image

La copertina del volume

Image

La copertina del volume

Basquiat, la parabola di un cattivo ragazzo d'oro

Anna Minola

Leggi i suoi articoli

È il momento dei graffitisti. A Milano si è da poco conclusa la mostra di Jean-Michel Basquiat al Mudec e si è aperta quella di Keith Haring a Palazzo Reale.
Vale la pena quindi segnalare l’uscita del libro che Michel Nuridsany dedica a Basquiat. Colpisce, oltre alla ricchissima messe di informazioni, la passione con cui l’autore parla dell'artista, da lui ammirato per il talento, l’energia, ma anche per la grazia, l’eleganza, la dignità, la regalità. E lo ammira anche quando dice: «Mi piace anche passare per un cattivo ragazzo. Lo adoro».
Nato a Brooklyn nel 1960 da padre haitiano e madre portoricana, Basquiat vive un’«infanzia poco paradisiaca». La madre lo conduce a visitare mostre e musei, mentre il padre è molto severo. Ama la musica, soprattutto il jazz di Charlie Parker. Riesce bene negli studi primari, ma i continui traslochi, i cambiamenti di scuola, le furibonde liti fra i genitori lo rendono fragile. A quindici anni fugge da casa una prima volta, e poi di nuovo a diciassette anni, abbandonando la scuola. Irrequieto, instabile, cambia continuamente la narrazione della sua vita e, insieme, la sua identità. Il razzismo verso i neri lo fa soffrire profondamente e reagire con un’ironia molto aggressiva. Vive per strada, ora. E incomincia a drogarsi. Ma intanto medita sul suo futuro e decide di diventare una star. È fra i primi graffitisti: scrive e disegna sui muri lettere, parole, figure infantilmente schematiche, deformandole e mescolando i vari elementi fra di loro. Disegna su carta. Si ispira fondamentalmente a Dada e alla Pop art. Si fa degli amici. In particolare diventa amico di Al Diaz, con cui lavora a quattro mani firmando Samo, firma spesso conclusa da una corona a tre punte. Da Brooklyn si sposta, e si muove tra SoHo e l’East Village, mentre il suo lavoro, depurato poco alla volta dalle ingenuità degli inizi e concentrato sul rifiuto di una società fondata sul denaro, fortemente diseguale, razzista, emerge in breve per energia e audacia creativa.
A Downtown frequenta il mitico Mudd Club, regno della musica funk e punk, dove conosce Kenny Scharf e Keith Haring. Warhol lo nota: nascerà fra loro un’amicizia che li spingerà nel tempo a dipingere insieme un centinaio di tele (in parte anche con Ontani). Ama la musica hip-hop e rap, il cui ritmo pulserà fortemente nei suoi lavori. E ama la poesia e la letteratura. La sua vita continua a essere randagia, ma punta, ora, alle mostre e alle gallerie. Intanto a New York il linguaggio artistico cambia sulla scia del Neoespressionismo tedesco, che porterà a scalzare il Minimalismo. Basquiat, che già praticava un linguaggio con elementi espressionisti, è considerato uno dei massimi artisti, anche perché giovanissimo, e nero. Schnabel gira un film su di lui. La sua prima mostra è del 1980. Seguono molte altre personali e collettive a New York, Modena, Los Angeles, Zurigo, Basilea. Muore a New York, neanche ventottenne, nel 1988, distrutto dalla droga.


Basquiat. La regalità, l'eroismo e la strada, di Michel Nuridsany, traduzione di Ximena Rodríguez Bradford, 382 pp., Johan e Levi editore, Monza 2016, € 33,00

La copertina del volume

Anna Minola, 20 marzo 2017 | © Riproduzione riservata

Basquiat, la parabola di un cattivo ragazzo d'oro | Anna Minola

Basquiat, la parabola di un cattivo ragazzo d'oro | Anna Minola