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Avanguardie e ripetitività

Ilaria Speri

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Al MoMA il duo Shunk-Kender e Zoe Leonard

Importanti opere della collezione del MoMA sono protagoniste della stagione estiva nell’istituzione newyorchese. Più di 600 fotografie provenienti dalla Shunk-Kender Photography Collection, parte di una recente grande donazione della Roy Lichtenstein Foundation a un consorzio di cinque istituzioni internazionali, offrono ai visitatori l’opportunità di ripercorrere, grazie alla prolifica documentazione del duo composto dal tedesco Harry Shunk e dall’ungherese János Kender, i momenti salienti delle avanguardie artistiche sviluppatesi tra Europa e Stati Uniti negli anni Sessanta. Intitolata «Arte nell’obiettivo: fotografie di Shunk-Kender, 1960-1971», la mostra è aperta fino al 4 ottobre.

Dal 27 giugno al 30 agosto saranno invece esposte per la prima volta al MoMA le 412 fotografie, acquisite dal museo nel 2013, che compongono la serie «Analogue» della 54enne americana Zoe Leonard, protagonista di numerose mostre personali nelle maggiori istituzioni europee e americane (fino al 30 agosto, a cura di Roxana Marcoci e Drew Sawyer).

La costruzione della serie ha inizio nel 1998, quando l’artista, nell’ambito di una residenza del Wexner Center for the Arts a Columbus (Ohio), comincia a esplorare il vicino quartiere del Lower East Side di New York riprendendo, con un apparecchio Rolleiflex degli anni Quaranta, bancarelle, negozi dell’usato e mercatini: esercizi commerciali e prodotti vintage dal passato affascinante e dal futuro incerto. Le riprese continuano negli anni successivi, fino al 2009, ben oltre i confini della città, e vedono l’artista rincorrere e raccogliere le tracce del mercato dei prodotti di riciclo e riutilizzo nelle città di tutto il mondo, fino in Africa, Messico ed Europa dell’Est.

In bilico tra lo stile documentario e l’arte concettuale, il corpo del lavoro condivide, da un lato, la natura topografica e seriale del lavoro dei coniugi Bernd e Hilla Becher, oltre alla comune attenzione nei confronti di un soggetto giunto al capolinea della propria funzione originale, destinato inevitabilmente a scomparire, dall’altro ne abbandona l’impeccabilità tecnica, operando in maniera più assimilabile alle esperienze di artisti come John Baldessari ed Ed Ruscha, da cui eredita invece la natura cumulativa e catalogatoria: assumendo nella ripetitività dei soggetti la propria forza e priva di qualsivoglia intento nostalgico, l’opera spinge chi la osserva a interrogarsi, prima ancora del destino dei prodotti di consumo, sulle ragioni stesse del gesto fotografico.


Ilaria Speri, 04 giugno 2015 | © Riproduzione riservata

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