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Altro il contraffare, altro l’imitare

Fabrizio Lemme

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Omaggi, sfide e altre contraffazioni non punibili

Il 17 dicembre 1971 la Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana pubblicò la legge deliberata il 20 novembre precedente con il n. 1062, detta anche Legge Pieraccini dal nome del proponente più volte ministro, senatore, uomo di cultura e grande collezionista.
In virtù di tale legge (art. 3), la contraffazione di opere d’arte e beni culturali acquistò autonoma valenza di fatto di reato e si è radicata nella cultura giuridica nazionale, in quanto l’incriminazione è stata confermata con l’art. 128 del T.U. 490/99 e con l’art. 178 del D.lgs. 42/04 (Codice dei Beni Culturali), oggi vigente.

Il legislatore, come spesso accade, non definisce la condotta punibile di contraffazione; in tali casi la scienza penalistica afferma che la legge penale faccia riferimento alle cosiddette valutazioni sociali medie, ossia al «senso comune del diritto», linea guida essenziale dell’esperienza giuridica, sì da escludere che la norma sia conflittuale, in quanto indeterminata, con la Costituzione (art. 25).

Ora, per comprendere in cosa si sostanzi la condotta contraffattoria, soccorre un pensiero espresso da Giacomo Leopardi nello Zibaldone: «altro il contraffare, altro l’imitare». Il grande poeta intendeva sottolineare un dato storico indiscutibile: tutta la storia dell’arte occidentale (letteraria, musicale, figurativa ecc.) è un succedersi di rivoluzioni e imitazioni. Prendiamo un esempio nel naturalismo seicentesco: Caravaggio si contrappone al Manierismo, affermando la fondamentalità della realtà naturale in contrapposizione a quella, essenzialmente intellettuale, assunta a parametro nella «maniera internazionale».

Questa è certamente una grande rivoluzione innovativa, che ha le sue radici nella riscoperta della natura, sul piano scientifico e filosofico. Ma tale rivoluzione, affermatasi nella Roma fine Cinque-inizio Seicento e consacrata ufficialmente nei tre dipinti con le Storie di san Matteo nella Cappella Contarelli della chiesa di San Luigi dei Francesi (esecuzione realizzata probabilmente prima dell’anno santo 1600), contagia tutto l’ambiente artistico romano e genera una infinità di copisti, contraffattori, imitatori. Oggi, costituisce un tema fondamentale della storia dell’arte distinguere gli uni dagli altri: Alfred Moir ha scritto addirittura un’opera su Caravaggio e i suoi copisti (Caravaggio and his copyists, New York University Press, 1976), dimostrando come spesso la copia sia di tale qualità da divenire imitazione non contraffattoria.

Questi concetti sono difficili a essere percepiti nel contesto odierno: l’arte è oggi essenzialmente ricerca di novità e il mezzo artistico non riposa più sui dati formali ma su quelli espressivi. Prendiamo ad esempio i Concetti spaziali di Lucio Fontana, i famosi tagli effettuati in una tela normalmente campita a monocromo. Rammento che una volta, discutendo con gli storici dell’arte contemporanea Enrico Crispolti e Flavio Fergonzi posi il problema se la distinzione tra «tagli autografi» e «tagli contraffattori» potesse riposare su dati qualitativi e non su dati documentari. I due illustri contemporaneisti affermavano la possibilità di tale distinzione formale, ma non mi convinsero: la prova è nelle infinite, interminabili controversie che si dibattono nelle aule di giustizia ogni qualvolta si tratti di distinguere, nell’arte contemporanea, tra la contraffazione e l’originale. Ma, al di là di questa querelle, è indubbio che esistano anche imitazioni non contraffattorie, per le quali la punibilità è da escludere o per difetto dell’elemento soggettivo (il dolo) o per difetto di offensività.

Prendiamo le opere che costituiscono, dichiaratamente, imitazione, da parte di un artista, dell’opera di altra artista: i cosiddetti omaggi, dei quali abbonda la nostra tradizione figurativa e che, in Francia, si chiamano talvolta «tombeau». Rammento, al riguardo, il famoso «Tombeau de Couperin» di Maurice Ravel, omaggio di questo importante musicista basco al grande compositore settecentesco François Couperin; o la composizione di Luciano Berio, che riprende in forma di rondeau un motivo («Serenata notturna per le vie di Madrid») di Luigi Boccherini.

In questi casi l’imitazione è una rilettura: l’opera imitata viene interpretata e riproposta in forme nuove, assumendo una valenza artistica diversa. Si tratta di progresso, non di contraffazione e quindi, prima ancora che per la mancanza di dolo, direi che la condotta è scriminata per difetto di offensività. Ancora, si potrebbe parlare delle trascrizioni, ossia delle trasposizioni di un’opera da un campo all’altro della figurazione: sculture ridotte a pittura (l’età Barocca ne è piena), pitture ridotte a incisione. E non mancano le sfide, ossia autentici pezzi di bravura: Luca Giordano era un imitatore talmente raffinato da imitare prima il Ribera e poi addirittura Rembrandt, in opere che recano addirittura la firma contraffatta dell’artista imitato. Anche in questi casi, l’inganno è trasceso dalla manifestazione dell’ingegno!

Oggi, per i collezionisti raffinati, il falso Ribera eseguito da Luca Giordano costituisce un pezzo di altissimo pregio. E potremmo andare all’infinito con la storia di episodi analoghi. Ma forse è il momento di trarre le conclusioni: e vorrei richiamare al riguardo un mio ricordo di giovinezza, il mio docente di storia e filosofia al romano liceo Giulio Cesare, il professor Mario Bernabei Marinucci, che scriveva: «Messer Francesco non è cosa strana, se poetando petrarcheggio un poco. Cercando pace col mutare loco, sempre amerà così l’anima umana». In questi versi è riassunto e sintetizzato il problema che abbiamo posto e cercato di chiarire.

Fabrizio Lemme, 02 marzo 2015 | © Riproduzione riservata

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