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Silvano Manganaro
Leggi i suoi articoliIl 2015 è un anno fondamentale per la Fondazione Pastificio Cerere, non solo perché l’edificio che la ospita e che le ha dato il nome compie 110 anni, ma anche perché, sotto la curatela di Marcello Smarrelli, tornano a esporre proprio all’interno del Pastificio tutti gli artisti che hanno fatto parte, negli anni Ottanta, del cosiddetto «Gruppo di San Lorenzo» e che per primi hanno deciso di trasferire i propri studi in questo edificio ex industriale. Ed è così che, dopo Gianni Dessì, fino al 30 maggio è il turno di Giuseppe Gallo il quale, con la mostra «Il quinto quarto», propone una riflessione sull’essenza dell’operato artistico, proprio e universale. Ad accogliere il visitatore sono sette piccoli dittici che mettono a confronto l’algido Duchamp e il più viscerale Brancusi, due anime contrapposte e complementari dello spirito artistico che ha caratterizzato il Novecento. Una testa in bronzo di Michelangelo, dalla cui fronte fuoriesce la colonna infinita dello scultore romeno, sta lì a rimarcare che, in fondo, le idee degli artisti sono da sempre le stesse. Due quadri della serie dei «Rettangoli aurei», infine, segnano l’alternanza nella pittura di Gallo tra natura (le foglie e i rametti dei cicli precedenti) e astrazione intellettiva (il rettangolo aureo appunto). Equilibrio geometrico perfetto che si ritrova anche in una complessa trama di sagome di tronchi d’albero squadrate e intrecciate che dividono a metà l’ultima sala dello spazio espositivo (nella foto): un’area sacrale inaccessibile (anche questa basata su un rettangolo aureo) e una mondana, contaminata, viscerale. Ma è in fondo proprio dalle viscere (il «quinto quarto» appunto) che nasce l’arte, in una strana assonanza tra «interiora» e «interiore».
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