«Spectral Keepers» (2020), di Sandra Mujinga. Collezione privata. © Sandra Mujinga. Foto: Plastiques, cortesia dell’artista e di The Approach, Londra

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«Spectral Keepers» (2020), di Sandra Mujinga. Collezione privata. © Sandra Mujinga. Foto: Plastiques, cortesia dell’artista e di The Approach, Londra

Al Guggenheim gli artisti si nascondono

Nella rotonda dell’istituzione newyorkese 100 opere di 28 artisti affrontano il «limite della visibilità»

La figura umana, rappresentata in un ritratto o in un autoritratto, come espressione di identitá, del ruolo che l’individuo ha nell’ambito della societá contemporanea; in fotografia, nel fotomontaggio, nel disegno, nell’installazione, nella performance. In luce o in ombra, e tutte le loro metafore. È il tema denso di significato della grande mostra «Going Dark: la figura contemporanea al limite della visibilità», che il Guggenheim Museum presenta dal 20 ottobre al 7 aprile 2024 nell’intero spazio della rotonda di Frank Lloyd Wright, riunendo una selezione di 28 artisti.

«Going Dark» è l’espressione usata quando si spengono le luci o i teatri si chiudono come durante il recente lockdown, ma significa anche «scomparire» e «mettersi sulla cattiva strada». Ma ovviamente c’è anche un gioco di parole con il significato di «scuro» o «persona di colore», che si può riferire alle molte minoranze che vivono nel mondo occidentale. E, certamente, rimanda anche alla loro invisibilità in determinati contesti e circostanze.

La mostra comprende l’opera di figure storiche come David Hammons, definito «uno degli artisti più influenti della sua generazione», Carrie Mae Weems, Ming Smith, la prima fotografa afroamericana a entrare a far parte della collezione del MoMA, e Faith Ringgold. Così come lavori di celebritá di questi anni come Lorna Simpson (1960), la prima donna afroamericana a esporre alla Biennale di Venezia nel 1990, Doris Salcedo, che nel 2007 realizzò l’installazione «Shibboleth» alla Tate Modern di Londra ispirata alla piaga del razzismo e all’ostracismo degli immigranti, Glenn Ligon, Chris Ofili, vincitore del Turner Prize e uno degli Young British Artists, e Titus Kaphar, che ha disegnato la copertina di «Time» del 15 giugno 2020 all’indomani dell’assassinio di George Floyd. Ma comprende anche l’opera di astri nascenti come John Edmonds e Kevin Beasley, la cui opera fu selezionata nel 2014 per la Biennale del Whitney Museum.

Ciascuno di loro interpreta in modo del tutto originale l’idea di «Going Dark» in questa mostra. «The Jerome Project (Asphalt and Chalk) III» di Kaphar si riferisce alla frequenza con cui i giovani neri americani sono vittime della violenza senza senso delle forze dell’ordine, alla facilità con cui vengono spesso ingiustamente incarcerati e al trattamento che sovente subiscono all’interno delle carceri. Per Kaphar il fenomeno della carcerazione di massa della popolazione americana di colore è un fatto personale: suo padre ha avuto problemi con la giustizia ed essendo lui cresciuto in un quartiere povero, la maggior parte dei suoi amici d’infanzia è stato in carcere e, in un certo senso, in molti casi, fatto «sparire» dalla società civile.

La giovane Farah Al Qasimi (1991), originaria degli Emirati Arabi Uniti e ora residente a Brooklyn, nella serie fotografica «It’s Not Easy Being Seen» (2016) affronta il tema della visibilità/invisibilità delle donne musulmane che indossano la hijab e di come queste sono recepite nell’immaginario collettivo americano. Infine Dawoud Bey, fotografo e insegnante, nel progetto del 2017 «Night Come Tenderly Black» immortala la Underground Railroad, il percorso attraverso il quale decine di migliaia di persone ridotte in schiavitù, come la grande Harriet Tubman, trovarono la libertà dopo essere fuggiti verso il Nord.

«Spectral Keepers» (2020), di Sandra Mujinga. Collezione privata. © Sandra Mujinga. Foto: Plastiques, cortesia dell’artista e di The Approach, Londra

Viviana Bucarelli, 18 ottobre 2023 | © Riproduzione riservata

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