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Anna Maria Colombo
Leggi i suoi articoliSan Pietroburgo (Russia). Durante l’ultima settimana dello scorso settembre si è svolta a San Pietroburgo, nel Museo di Stato dell’Ermitage la 27esima assemblea generale del Centre International d’Etude des Textiles Anciens (Cieta) e di seguito il convegno sul tema «I tessili e la rappresentazione del potere, del rango e dello status».
Diviso in sette sessioni, il convegno ha fornito l’occasione agli studiosi internazionali di confrontarsi su argomenti che coprono un arco temporale che partendo dall’età del bronzo nell’Egeo giunge sino agli inizi del XIX secolo.
Un’intera sessione è stata dedicata alle collezioni tessili dell’Ermitage. Si tratta di un patrimonio straordinario per antichità, varietà dei materiali e ampiezza della loro provenienza, fra cui vi sono anche i preziosi tessuti auroserici prodotti dalle manifatture italiane durante il XVI-XVII secolo e smerciati in Russia, la cui corte si sentiva erede degli sfarzi di Bisanzio.
Questo patrimonio è stato esemplificato e presentato al pubblico, per la prima volta nella storia del museo, attraverso l’allestimento di una mostra temporanea dal titolo «Hermitage Textile Encyclopaedia» composta da 540 oggetti provenienti dai diversi dipartimenti del museo. La scelta degli esemplari ha risposto non tanto al criterio di esibire i pezzi qualitativamente più alti e rappresentativi, quanto a quello di illustrare i problemi ed i complessi procedimenti riguardanti il restauro dei manufatti tessili, nonché l’impiego delle nuove tecnologie.
«Hermitage Textile Encyclopaedia» si è conclusa il 15 ottobre, tuttavia non mancano, all’interno del grande museo di San Pietroburgo, altre occasioni per ammirare opere tessili.
Soprattutto si dovrà visitare la sezione permanente Siberian Antiquities, situata al piano terra del Palazzo d’Inverno. Per chi conosca dal vero solo reperti tessili dell’area mediterranea, la visione di questi esemplari è un’esperienza affascinante, che conduce in un mondo davvero altro dal nostro, in una storia mitica di uomini, cavalli e divinità.
All’incirca all’epoca in cui in Grecia i filosofi presocratici si ponevano domande sul principio di tutte le cose, nelle steppe della Siberia meridionale le popolazioni nomadi, originarie dell’Asia centrale più profonda, creavano una società rigidamente strutturata nella quale le persone di alto rango erano sepolte entro «kurgan» reali, ossia tumuli funerari avvicinabili per qualità rappresentativa alle piramidi egizie. Qui, dove gli uomini riposavano accanto ai loro cavalli, a suggerire quanto fossero indispensabili nella loro vita, gli archeologi hanno ritrovato manufatti tessili eccezionali. Fra questi una sorta di grande «arazzo», ma il termine è improprio in quanto formato da ritagli in feltro di colori differenti cuciti fra loro così da creare una composizione a bande in cui si ripete una scena dove un cavaliere procede verso una dea in trono che tiene in mano un ramo fiorito (VIII-VII secolo a. C). È un’immagine che probabilmente cristallizza l’idea di morte e resurrezione, centrale nell’arte di quei lontani nomadi delle steppe.

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