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40 anni di «tribal» a due passi dal Pantheon

40 anni di «tribal» a due passi dal Pantheon

Francesca Romana Morelli

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La galleria Arte Africana di Chantal Dandrieu e Fabrizio Giovagnoni festeggia, dal 4 al 24 maggio, quarant’anni di attività con una mostra che riunisce una decina di esemplari di opere del Burkina Faso, del Ghana e della Nigeria

 

Il primo viaggio nell’Africa occidentale fu nel 1975, tre anni dopo la Dandrieu aprì una galleria in via Ripetta frequentata da collezionisti come Armando Scamperle, Carlo Monzino, Mario Meneghini, Vittorio Mangiò, Ezio Bassani, e da artisti come Perilli e Ontani. In seguito si associa con Fabrizio Giovagnoni, conosciuto in Africa dove lavorava come ingegnere. I rapporti con Jacques Kerchache, che fece entrare l’arte «primitiva» al Louvre, le permisero di organizzare nel 1990 a Roma una delle mostre pubbliche più rilevanti del settore in Italia, con prestiti europei. Dal 2006 a Parigi partecipa a Parcours des Mondes, il salone d’arte tribale più importante del mondo.

 

Abbiamo incontrato Chantal Dandrieu nella sua galleria a due passi dal Pantheon.

 

Come scoprì la sua passione per l’arte africana?
Appartengo a una famiglia francese trasferitasi in Mali, allora colonia francese. Cresciuta a Bordeaux, finita l’università, presi un biglietto aereo di sola andata per l’Africa occidentale. Mi lanciai alla scoperta di oggetti di qualità.

 

Quale fu la sua prima vendita a un collezionista italiano importante?
All’epoca in Italia era una sfida trattare l’arte africana, estranea alla cultura di questo Paese. Nel 1980 entrai in possesso di un cimiero Boki della Nigeria, quando una telefonata di un collezionista milanese mi avvisava che mi avrebbe mandato un biglietto aereo, perché voleva esaminare il manufatto, mancante nella sua vasta raccolta, che includeva un centinaio di opere provenienti dalla raccolta dello scultore Jacob Epstein. Era Monzino, della famiglia proprietaria della catena di negozi Standa!

 

Oggi, lei Chantal e suo marito Giovagnoni come ripartite la vostra attività?
Il mercato dell’arte africana, e più in generale dell’arte tribale, è molto più stabile di quello dell’arte contemporanea. Abbiamo costruito una rete di grandi collezionisti e sviluppato rapporti con studiosi, curatori di musei, in particolare con il Musée du quai Branly di Parigi e l’Institute of Arts di Minneapolis. Di recente si è rafforzata l’attività in Italia, dove è sopravvissuto un collezionismo appassionato.

 

Francesca Romana Morelli, 17 giugno 2016 | © Riproduzione riservata

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