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Vita quotidiana in un Giappone devastato

Federico Castelli Gattinara

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Nel Museo dell’Ara Pacis 150 scatti di Domon Ken (1909-90), tra i maggiori esponenti giapponesi del realismo fotografico

Nel 1854 un Giappone ancora feudale venne forzato ad aprirsi all’Occidente, agli scambi e alla sua cultura. Al 1866 risale il Trattato di amicizia e commercio con l’Italia, di cui quest’anno si festeggiano i 150 anni. Aspettando le grandi rassegne sulla scultura buddhista giapponese (dal 29 luglio nelle Scuderie del Quirinale) e sui maestri dell’ukiyo-e Hokusai, Hiroshige, Utamaro (dal 20 settembre nel Palazzo Reale di Milano), fino al 18 settembre nel Museo dell’Ara Pacis saranno esposti 150 scatti in bianco e nero e a colori di Domon Ken (1909-90), tra i maggiori esponenti giapponesi del realismo fotografico.

«Sorelle», Ken Domon Museum of PhotographyLa mostra, realizzata in collaborazione con il Ken Domon Museum of Photography di Sakata, è curata da Rossella Menegazzo, docente di Storia dell’arte dell’Asia Orientale all’Università degli Studi di Milano, e Takeshi Fujimori, direttore artistico del museo di Sakata, la città natale del fotografo. Domon Ken è molto noto in patria, meno all’estero, dove mai finora era stata organizzata una rassegna così ampia, che dai suoi scatti giovanili degli anni Venti arriva agli anni Settanta.

I suoi primi lavori si sviluppano nell’ambito del fotogiornalismo anteguerra, tra propaganda e promozione della cultura giapponese all’estero, almeno fino al trauma del bombardamento atomico, che documenterà anni dopo, nello sconvolgente reportage su Hiroshima uscito nel 1958, considerato dal Premio Nobel per la letteratura Oe Kenzaburo la prima grande opera moderna del Giappone.

Dopo la seconda guerra mondiale, in un Paese devastato e occupato dagli americani, la necessità di testimoniare la realtà contemporanea lo spinge insieme ad altri verso un realismo sociale frutto di un bisogno assoluto di verità, aderenza ai fatti, «connessione diretta tra la macchina fotografica e il soggetto». L’immagine che ne trae, intesa come «un’istantanea assolutamente non drammatica», lega i suoi temi, i soggetti e gli scatti di epoche diverse.

Ne emerge un ritratto a tutto tondo della società giapponese, registrata nella vita di tutti i giorni, con filoni prediletti e sempre ripresi, come quello sui bambini, e ancora i templi antichi e la scultura buddhista, il teatro dei burattini, i ritratti di personaggi famosi (da Mishima a Tanizaki, da Okamoto a Kamekura), la miseria estrema nei villaggi di minatori del sud del Giappone. In altre parole i «destini della gente, la rabbia, la tristezza, la gioia del popolo giapponese» documentati attraverso un dialogo sempre molto personale con il soggetto: paesaggio, scultura, persona o oggetto che sia.

Federico Castelli Gattinara, 28 luglio 2016 | © Riproduzione riservata

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