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La «Ichnographia Campi Martii» nella matrice di Piranesi

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La «Ichnographia Campi Martii» nella matrice di Piranesi

Nella discesa alle madri-matrici le due anime di Piranesi

Segreti di bottega e altre scoperte: i rami dell’Istituto Centrale per la Grafica

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Franco Fanelli

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Sono molti, a Roma e dintorni, i luoghi in cui aleggia lo spirito di Giambattista Piranesi (1720-78). Ma il grande incisore vive soprattutto nei suoi rami, nelle grandi matrici conservate nell’immensa Calcoteca dell’Istituto Centrale per la Grafica. Le tappe dello studio e della catalogazione di quelle lastre sono documentate in ponderosi volumi. Con il terzo, che raccoglie la produzione dal 1761 e il 1765, il lavoro dell’équipe di studiosi e restauratori guidati da Ginevra Mariani, responsabile della Calcoteca, è al culmine.

Ginevra Mariani, come si articola e quali obiettivi si prefigge il Progetto Piranesi?
Il progetto è iniziato nel 2008. È un’idea che nasce in prima istanza come riflessione sul mio lavoro di responsabile della Calcoteca dell’Istituto Centrale per la Grafica. Mi sono posta l’interrogativo su come cominciare una nuova catalogazione di questa collezione e uno stimolo mi è venuto dalla mia partecipazione a una mostra allestita a Saragozza. Il curatore mi aveva chiesto un saggio su Piranesi e ho cominciato a riflettere sulla complessità di questo fondo che è stato acquistato da Gregorio XVI alla fine del 1838 a Parigi da una stamperia molto importante, quella di Firmin Didot. Si tratta di 1.191 matrici di cui 964 sono ritenute autografe. Queste 964 sono l’oggetto di studio e di analisi del Progetto Piranesi. Sostanzialmente è un lavoro volto a tutelare e a valorizzare questo fondo così complesso e importante. Il programma si compone di sei volumi da pubblicare entro il 2020, quando cadrà il terzo centenario della nascita di Piranesi. Sinora sono state studiate e restaurate 510 matrici. Uno degli obiettivi principali è quello di diffondere la conoscenza della matrice, non di Piranesi soltanto, materiale conosciuto soltanto da studiosi e addetti ai lavori. La matrice, soprattutto se antica, presenta dati che non si possono ricavare dallo studio della stampa (il risultato finale del lavoro di un incisore) e che non sono leggibili immediatamente: soprattutto la variazione dell’inciso, le cancellazioni, i pentimenti.

Quali novità sono emerse?
Un altro degli obiettivi del Progetto Piranesi è l’indagine sulla metodologia del lavoro del grande incisore e il ruolo della sua importante bottega. Bisogna tener conto che le matrici che arrivano a Roma nel 1839 non sono più quelle che erano in via Sistina nel Palazzo Tomati, dove viveva e operava Piranesi, ma facevano parte della Calcographie des Piranesi Frères a Parigi e che accanto alle opere di Giambattista comprende quelle del figlio Francesco. Si tratta di capire quanto, in quel nucleo, è opera di quest’ultimo.

Perché i fratelli Piranesi si trasferirono a Parigi?
Francesco fuggì a Parigi insieme al fratello Pietro perché si era schierato a favore della Repubblica Romana contro Pio VI. Alla caduta della Repubblica, nel 1799, venne costretto all’esilio. Quella delle matrici piranesiane è una storia veramente avventurosa. Noi siamo riusciti, dopo averne studiate tante, a vedere che sicuramente ci sono degli apporti di diverse mani. Siamo riusciti a identificare nelle matrici degli stilemi che tornano costantemente. Ad esempio la composizione dei cieli, che per certe immagini è molto simile, come se ci fosse un incisore apposito; e poi le figurine (c’è una postura ricorrente tratta dal Galata morente) che popolano le sue stampe (che fra l’altro intrigavano profondamente anche un artista come Kounellis), le verzure... C’è un albero che torna costantemente e che noi abbiamo definito l’albero alla Salvator Rosa.

Pare che Piranesi esortasse il figlio Francesco a dedicarsi allo studio delle figure, forse perché conscio di certe lacune...
Su questo versante un aiuto certo di Piranesi è quello dell’artista Jean Barbot che è l’unico che può apporre la sua firma nelle tavole delle Antichità romane dov’è ritratto il corpo umano perché evidentemente Piranesi questo non lo faceva.

Nel terzo volume si parla anche del retro delle matrici.
Già molto tempo fa Maurizio Calvesi e Augusta Monferini presero in considerazione le matrici di Piranesi; la stessa Monferini ne ha analizzato anche dei rovesci. Ciro Salinitro, uno degli importanti collaboratori all’attuale fase di studi, restaurando e analizzando ha trovato altre matrici che hanno sul verso delle incisioni. Molto spesso queste incisioni riproducono cose che sono già presenti in altre opere, come se fossero delle esercitazioni di bottega. Non riusciamo a capire in quale momento sono state fatte queste esercitazioni.

Possono essere opera dei figli?
I figli nascono alla fine degli anni Cinquanta, pertanto erano piccoli quando Piranesi produce queste lastre. Abbiamo anche supposto, come sostiene soprattutto Ciro Salinitro, che l’uso del verso della matrice possa risalire agli anni parigini in cui Pietro e soprattutto Francesco istituiscono un’Accademia. Forse facevano esercitare gli studenti usando il verso delle lastre.

Quali figure professionali sono impegnate nel Progetto Piranesi?
Il lavoro è molto impegnativo sotto vari aspetti. Uno di questi è la mancanza del personale e di fondi per l’intero progetto. Siamo riusciti a pubblicare i primi volumi grazie al sostegno della dirigente dell’Istituto Maria Antonella Fusco, che si è fatta carico di trovare i fondi, e di un piccolo gruppo di persone che definirei degli appassionati, prima fra tutti Giovanna Scaloni che lavora con me nel settore Calcoteca: ha una preparazione da storica dell’arte, ma il suo contributo è importante perché a questa formazione ha unito una grande capacità nel saper leggere tecnicamente il segno inciso. Poi, per questo volume, si sono aggiunti un archeologo, Carlo Gasparri, con un saggio sull’archivio di modelli di architettura di Piranesi, John Wilton-Ely, che ha scritto sui rapporti tra Piranesi e gli architetti inglesi a Roma e un’altra storica dell’arte, Giovanna Grumo, già esperta di tecniche incisorie. A lei si deve un piccolo scoop.

Quale?

Studiando il frontespizio con le rovine dell’Acqua Giulia si è resa conto che le scritte delle stampe delle varie edizioni erano diverse e così abbiamo scoperto che la lastra in nostro possesso non è più quella originale. Anche questo è un problema che non abbiamo risolto completamente, ma sarà forse risolvibile alla fine del progetto. Non abbiamo capito perché nelle prime edizioni non si trova. Quando e in quale momento è stata cambiata? È andata perduta e allora Francesco l’ha cambiata? È andata perduta quando era ancora in vita Giambattista? Questo lavoro sta aprendo anche tanti interrogativi. Un contributo sostanziale è quello dell’altro partner del progetto, il Laboratorio diagnostico per le matrici che collabora attivamente al progetto con il suo direttore Giuseppe Trassari Filippetto (tra l’altro egli stesso incisore) e Lucia Ghedin, una restauratrice specializzata in conservazione di opere su metallo.

Un altro scoop pubblicato in questo volume sono le modifiche al Tempio della Sibilla di Tivoli.
Ne ho dato soltanto un assaggio perché sarà affrontato compiutamente nell’ultimo volume, quello che riguarderà le Vedute di Roma. Tutto nasce dalla presentazione a Berlino di una stampa molto rara (che infatti non siamo riusciti a ritrovare nelle collezioni romane) di una prima versione del Tempio della Sibilla, senz’altro una stampa originale. Sulla matrice Piranesi è intervenuto massicciamente, con l’eliminazione di molta vegetazione che appare nella prima stampa. Non capiamo se Piranesi volesse essere più filologico. Probabilmente possedeva dei disegni del Tempio eseguiti da altri. È molto importante nella sua bottega l’uso dei disegnatori e questo si vede anche nelle Antichità romane e nel ripristino della testa nel secondo volume del Sarcofago di Alessandro Severo: dopo che l’archeologo Ridolfino Venuti dice che lui ha sbagliato nell’interpretazione della base dell’urna perché non è il Ratto delle Sabine bensì un passo dell’Iliade, lui aggiunge una targa polemica, ma poi cambia anche la testa e la fa uguale al vero, quindi evidentemente aveva lavorato su un disegno altrui. Questa è un’altra cosa importante che sta emergendo e probabilmente non riguarda solo Piranesi. Tutti lavoravano sui disegni perché questo errore di Alessandro Severo viene ripetuto anche da altri incisori, quindi è evidente che sul mercato circolavano dei disegnatori che vendevano fogli non sempre fedeli ai modelli originali. A volte certe modifiche sulla lastra si devono al fatto che, nel dubbio, si reca in loco.

Il 1761 è un anno fondamentale per Piranesi. Perché?
Nel 1761 apre la sua grande bottega. Diventa inoltre accademico e in marzo si trasferisce in Strada Felice, quella che è l’attuale via Sistina, in Palazzo Tomati. Da quel momento in poi dirige una grande bottega. In quel momento era suo fondamentale sostenitore papa Clemente XIII, veneto anch’egli. In quello stesso anno comincia il Catalogo inciso, in cui annota tutto quanto produce e lo propone alla vendita. Gli anni Sessanta rappresentano il consolidamento dell’artista non solo come incisore, ma anche come personaggio importante nell’ambito archeologico di quella che viene chiamata nel Settecento la «société du savoir». Piranesi è protagonista di un dibattito internazionale e intraprende anche l’attività di antiquario, creando dei pastiche con i reperti rinvenuti negli scavi e vendendoli. Fu in questo modo che si arricchì. A quel punto probabilmente comincia a coinvolgere maggiormente nella realizzazione delle grandi serie gli aiuti di bottega. Non bisogna dimenticare poi che nel 1761 Piranesi rielabora anche le celeberrime Carceri e dimostra in questo la sua duplicità: da un lato l’artista, il visionario; dall’altro l’imprenditore, l’avveduto mercante. Da un lato, ancora, la sua attività di incisore in grandi numeri e dall’altro, contemporaneamente, la capacità di elaborare un’opera che io personalmente considero «privata» perché per ben dieci anni le matrici delle Carceri erano state lasciate da parte.

Quale risposta commerciale ottennero le Carceri?
Ebbero un successo postumo, ma soprattutto fuori Italia. Esiste un documento del 1841 in cui la commissione della Calcografia Camerale (da cui sarebbe nato l’attuale Istituto Centrale per la Grafica, Ndr) stabilisce quando stampare le opere di Piranesi e quali prezzi indicare per la vendita. Il prezzo dato alle Carceri era molto inferiore rispetto alle altre stampe.

Questo volume comprende un’opera capitale, le matrici del Campo Marzio, dove confluiscono le due anime piranesiane, quella visionaria e quella filologica.
A mio avviso nel Campo Marzio Piranesi mise insieme matrici già eseguite con altre più recenti. È l’opera in cui esprime fortemente il suo sostegno alla grandezza dell’architettura romana. Ma è un po’ più visionaria che filologica e questo è dimostrato dalla grande «Ichnographia Campi Martii», alla quale lavora sicuramente nella seconda metà degli anni Cinquanta. Aveva infatti promesso questa grande opera a un importante architetto scozzese, Robert Adam, che non a caso è a Roma tra il 1755 e il 1757. L’«Ichnografia» è la parte centrale della serie ed è enorme: sono sei grandi matrici in rame. Piranesi, per affermare la supremazia e l’originalità dell’architettura romana rispetto a quella greca, disegna una pianta del Campo Marzio inventandosela: la prolunga, la fa estendere a nord fino a Ponte Milvio e traccia addirittura un percorso sbagliato della via Lata, l’attuale via del Corso. Quella in un certo senso è la rappresentazione della sua idea del mondo classico. I suoi riferimenti certi sono senz’altro la Forma Urbis Severiana (rifà la pianta come la Forma Urbis, come scolpita sul marmo, in frammenti attaccati al muro) e poi la pianta di NolliPerò è emerso soprattutto un dato, cioè che la prima a sinistra delle sei lastre (quella dove c’è il vero Campo Marzio) è piena di cancellature. Evidentemente lì si è trovato a dover giustificare eventuali cambiamenti. Nel complesso si tratta di un’opera molto poco filologica rispetto soprattutto alle Antichità romane.

Al di là della pubblicazione degli altri volumi, l’Istituto Centrale per la Grafica come si sta preparando per il centenario del 2020?
Pensiamo di preparare una mostra sulle matrici, oggetti splendidi, quasi delle sculture. Vorremmo che la mostra documentasse il risultato di tutti gli studi condotti in questi anni e cercheremo di avere un legame con altre mostre a Roma, immagino ai Capitolini. So che anche la Biblioteca Vaticana ha in programma una mostra. I nostri punti di riferimento sono anche l’Accademia di San Luca e la Biblioteca Corsini di via della Lungara.

Intorno a Piranesi c’è un crescente interesse. Ma è già del 1987 il film di Peter Greenaway «Il ventre dell’architetto», il cui protagonista è un «ossessivo piranesiano»...
È un fascino che si deve alla forte emotività delle sue stampe. Basti pensare alla delusione che annota nel Viaggio in Italia Goethe quando si trova di fronte alla Piramide Cestia. Lui l’aveva vista nelle incisioni di Piranesi e quando ci si trova di fronte davvero ci rimane un po’ male. Ritengo che l’architetto di Greenaway alimenti la sua passione con questo elemento dell’emotività, ma anche con la magniloquenza dell’architettura romana. Me lo ha fatto pensare una bellissima mostra dello scorso anno a Mosca. Per la prima volta ho visto i disegni degli architetti per rifare piazze e monumenti moscoviti durante il Soviet, ed erano ispirati a Piranesi. Sulla colonna di Traiano erano disegnati Lenin con Stalin, oppure, per il rifacimento della piazza, si prendeva spunto proprio dall’«Ichnographia Campi Martii».

Giambattista Piranesi. Matrici incise 1761-1765, a cura di Ginevra Mariani, 430 pp., ill. col. e b/n, Editalia, Roma 2018, € 43,00

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Franco Fanelli, 16 febbraio 2018 | © Riproduzione riservata

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