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Burri: solitario ma contagioso

Guglielmo Gigliotti

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Bruno Corà mette a confronto l’artista umbro con i suoi «debitori» eccellenti: «Ha saputo stare “da solo” senza essersi isolato; ha vissuto con altri pittori, ma distinto da un riserbo idoneo a non lasciarsi distrarre»

Bruno Corà è dal 2013 il presidente della Fondazione Palazzo Albizzini - Collezione Burri di Città di Castello (Pg). Precedentemente, oltre alle numerose mostre curate in Italia e all’estero, ha diretto il Centro Luigi Pecci di Prato, il Centro di arte moderna e contemporanea di La Spezia e il Lac di Lugano.

La mostra «Alberto Burri: lo spazio di materia tra Europa e Usa», da lui curata e aperta fino al 6 gennaio 2017 negli Ex Seccatoi del Tabacco di Città di Castello, chiude il ciclo di iniziative per le celebrazioni del centenario della nascita del grande artista umbro (1915-95), che hanno avuto l’apice nell’antologica «Alberto Burri. The Trauma of Painting» al Solomon R. Guggenheim Museum di New York  e terminata il 6 gennaio scorso.

Bruno Corà, può tracciare un bilancio del centenario burriano?

Per Burri abbiamo indetto un «anno lungo», avviando iniziative, incontri pubblici, convegni di studio, mostre storiche sin dall’ottobre 2014, favorendo contemplazioni della sua pittura con quella dei maestri da lui osservati: con Piero della Francesca prima e successivamente con Luca Signorelli. Mentre abbiamo collaborato intensamente con la curatrice Emily Braun per la realizzazione della mostra tenutasi nell’ottobre 2015 al Solomon R. Guggenheim Museum di New York e per il suo passaggio alla Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen di Düsseldorf, abbiamo promosso altre iniziative in musei italiani: una mostra sui «cretti» al Museo Riso di Palermo in contemporanea con i lavori straordinari di completamento del Grande Cretto di Gibellina (Tp), il quale, dopo essere stato lasciato incompleto per oltre vent’anni, sotto la nostra direzione dei lavori è stato ultimato così come Burri ha sempre sperato che avvenisse. Sono stati completati ben 24mila metri quadrati dell’opera che nel suo complesso ne misura 90mila. A Milano, in collaborazione con la Triennale, con il Comune e con lo Studio Legale Nctm, attivo in quella città, che si è fatto carico della sponsorizzazione dei lavori, abbiamo ricostruito e ricollocato nel Parco Sempione, nella medesima posizione in cui si trovava originariamente, il «Teatro Continuo», monumentale opera da Burri dedicata nel 1973 alle arti sceniche, accessibile a tutti, ma distrutta dall’amministrazione cittadina mentre Burri era ancora in vita, procurandogli un grave dispiacere. Tra le altre iniziative da noi concepite e realizzate merita di essere ricordata la mostra «Burri e i poeti», in cui è stata fatta luce sul rapporto tra l’artista e poeti come Villa, Ungaretti, Sinisgalli, De Libero e altri. Nel 2015 abbiamo promosso uno dei meeting più ampi e più dinamici che si siano mai tenuti, dal titolo «Au rendez-vous des amis», convocando decine e decine di artisti internazionali a confrontarsi con le loro opere e in seminari interdisciplinari a dibattere sui maggiori temi della contemporaneità, in omaggio a Burri, presso uno dei più prestigiosi edifici storici di Città di Castello, Palazzo Vitelli e presso gli Ex Seccatoi del Tabacco, oggi secondo Museo Burri. A Perugia, in collaborazione con l’Università degli Studi è stato infine tenuto un convegno internazionale di studi dal titolo «Materia, forma e spazio» a cui hanno partecipato storici e critici tra i più esperti dell’opera di Burri, tra cui Carlo Pirovano, Enrico Crispolti,  Arturo Carlo Quintavalle, Vittorio Brandi Rubiu, Carlo Bertelli, Italo Tomassoni, Giuliano Serafini e altri, insieme ad alcuni studiosi americani. 

La mostra attuale accosta a venti opere dell’artista umbro un centinaio di lavori di artisti quali Wols, De Kooning, Pollock, Capogrossi, Twombly, Afro, Christo, Rotella, Klein, Manzoni, Kounellis e Kiefer. È la trama delle relazioni tra Burri e i colleghi?

È la lettura di un percorso che ho individuato osservando la sua opera e quella dei contemporanei a lui di poco antecedenti o di lui più giovani ai quali ha trasmesso una «scossa» etica ed estetica ineludibile.

Quali rapporti aveva Burri con gli altri artisti?

Ha saputo stare «da solo» senza isolarsi; ha vissuto con altri pittori, ha frequentato gli stessi luoghi, ma distinto da un riserbo idoneo a non lasciarsi distrarre, grazie a un forte imperativo interiore. Nella mostra sono presenti alcuni degli artisti con cui ha intrattenuto amicizia e stima, come De Kooning, Afro, Calder; con altri ha partecipato a mostre e pubblicazioni. Era severo nei giudizi con gli altri come con se stesso.

Lei lo ha conosciuto? Che cosa ricorda?

L’ho incontrato la prima volta a ventinove anni, nella sua Città di Castello. Alla mia richiesta di incontrarlo per esporgli un progetto di mostra, mi diede un appuntamento al  bar Tre bis sulla E7,  la strada che da Orte arriva a Cesena. Ricordo la sua volontà di suscitare stupore per quanto stesse facendo, il sarcasmo latente, la risata sostitutiva di un giudizio, il desiderio di amicizia autentica,
l’allergia allo sfoggio di cultura.

Quale immagine di Burri è emersa dalla mostra del centenario al Guggenheim?

Un coraggioso, grande esploratore del linguaggio, un precursore di numerosi movimenti artistici, un classico contemporaneo, una figura drammatica e cruciale, emblematica del nostro tempo.

Il successo della mostra di New York avrà una ricaduta positiva, oltre che su Burri, già noto e amato negli Stati Uniti, anche sull’arte italiana in genere?

Credo proprio di sì, se già si prepara una grande mostra su Fontana, mentre altri protagonisti come Morandi, Castellani e Kounellis non cessano di essere richiesti da musei e gallerie private negli Stati Uniti e altrove.

Dalla morte di Burri il mercato delle sue opere ha decuplicato i prezzi. Quali sono i fattori che hanno concorso a un simile incremento?

Una maggiore conoscenza della sua opera e la circolazione non inflattiva della sua pittura. Infine, la difficoltà di ottenere il suo lavoro, da lui fortemente controllato. 

Il mercato dell’arte italiana sta conoscendo un boom. Che cosa può renderlo duraturo?

Lo studio, la divulgazione e la proposizione accurata degli artisti attivi in Italia o che nel nostro Paese abbiano maturato il loro pronunciamento linguistico. Non ultimo una diversa attenzione e il sostegno istituzionale al lavoro artistico già svolto e da svolgere in Italia.

Burri fece restaurare a sue spese gli affreschi di Luca Signorelli nell’Oratorio di San Crescentino a Morra, presso Città di Castello. Con quali occhi guardava Burri all’antico?

Con occhi rispettosi e di grande interesse. Egli agiva consapevole di essere al cospetto di una grande arte di cui dover tenere conto e con cui doversi misurare.

Tra le sue prime esperienze si annovera, a metà anni Settanta, la curatela di mostre e convegni per gli Incontri Internazionali d’Arte. Come ricorda quella lunga esperienza accanto alla fondatrice degli Incontri, Graziella Lonardi?

Abbiamo fatto lunghi tratti di strada insieme, dalla fondazione nel 1970 degli Incontri fino alla sua scomparsa (nel 2010, Ndr.). Ma in certi momenti è stato necessario interrompere il nostro sodalizio operativo, mai quello amichevole, quando la sua collaborazione con soggetti per me inaccettabili rendeva impraticabile la nostra. 

Com’è cambiato dai tempi dei suoi esordi il mondo dell’arte?

Moltissimo: negli anni Sessanta-Settanta gli artisti esercitavano un forte controllo sulla loro opera. Il denaro era necessario ma non era un fine. L’idealità era dominante. I giovani erano protesi ad apprendere dai maestri che rispettavano. Le comunicazioni erano minori e il mondo era più vasto. Ora è impressionante la sua riduzione. Sono molto aumentati gli equivoci: si pensi a quelli di confondere creativi, stilisti o critici d’arte con pittori o poeti e in genere artisti.

Quali differenze intercorrono tra uno storico dell’arte e un curatore?

Il primo studia, conosce e confronta i fatti dell’arte di cui dover tenere conto; il secondo può essere altrettanto consapevole oppure, proiettato sull’attualità, prescinde dalla storia, si preoccupa di mettere in risalto ciò che è trendy, mira a «vendere» l’episodio di cui elabora la proposta. 

Qual è oggi il peso della critica nel mondo dell’arte e il peso dell’arte nel mondo tout court?

Dipende da chi esercita la critica; se è credibile e fondata, il peso della critica resta grande. Altrimenti è patetica. Il peso dell’arte nel mondo è generalmente esiguo ma quando un’identità si rivela la sua forza è straordinaria e stupefacente.

Quali sono rispetto al mondo internazionale dell’arte le forze e le debolezze di quello italiano?

La forza del mondo artistico che si sviluppa in Italia è grandissima; la debolezza italiana riguarda lo scollamento dello Stato, delle istituzioni, della scuola e in generale della comunità civica dalla vita immaginativa e operativa degli artisti. Ma spesso anche gli artisti ignorano fatti determinanti della realtà sociale del Paese.

Guglielmo Gigliotti, 10 ottobre 2016 | © Riproduzione riservata

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