Bergamo. Dieci anni fa la Fondazione Credito Bergamasco inaugurava la sua attività espositiva con la mostra «Omaggio a Baschenis», curata da Mina Gregori e Lanfranco Ravelli. Oggi, dopo 44 mostre in sede e numerose fuori sede o itineranti (tutte ideate e prodotte dalla Fondazione stessa), l’opera di Evaristo Baschenis (Bergamo, 1617-1677) è stata nuovamente convocata nel Palazzo Storico del Credito Bergamasco, per celebrare questo importante traguardo. Diciotto le opere del maestro bergamasco riunite fino al 27 maggio nella rassegna «Baschenis. Ritorno a Palazzo», curata dallo storico dell’arte Simone Facchinetti e da Angelo Piazzoli, segretario generale della Fondazione Creberg, che anticipa di un anno il quarto centenario della nascita dell’artista: tutti di collezione privata, e perciò assai difficilmente accessibili, i dipinti sono allestiti nel Salone Principale, nella Sala Consiglio e nel Loggiato. Qui, isolato dagli altri, trova posto il monumentale «Trittico Agliardi», 1665 circa, in cui Baschenis raffigurò, al centro, una delle sue magnifiche nature morte di strumenti musicali, e a lato ritrasse se stesso e tre membri della famiglia Agliardi intenti a suonare vari strumenti: un perfetto esempio del virtuosismo assoluto dell’artista, non meno che dei principi dell’estetica barocca. Come scriveva Giambattista Marino, «è del poeta il fin la meraviglia», e i dipinti di Baschenis sono fatti proprio per sbalordire l’osservatore, ingannandone i sensi fino a fargli sospettare di trovarsi di fronte alla realtà, e non al suo «doppio» pittorico, come accade con la mosca sullo spartito del «Trittico» o con le ditate sulla polvere depositata sugli strumenti.
Nel Salone Principale vanno in scena gli altri dipinti, divisi secondo i diversi generi praticati da Baschenis, dalle nature morte di cucina ai celebri strumenti musicali, al ritratto. La mostra è anche l’occasione per presentare una primizia: il «Cesto di mele, carciofo, asparagi, ciliegie e un garofano bianco», mai pubblicato né esibito prima, qui affiancato alla famosa «Cesta di mele» della collezione Poletti, spesso accostata dagli studiosi alla «Fiscella di frutta» di Caravaggio (Pinacoteca Ambrosiana, Milano), che ne sarebbe stata la fonte visiva.
Nella stessa occasione la Fondazione presenta anche quattro opere risanate grazie al progetto «Grandi Restauri» curato da Angelo Piazzoli, cui già si deve il recupero di una trentina di opere (di Lorenzo Lotto, G.B. Moroni, Moretto, Alessandro Allori, Palma il Vecchio, Romanino, tutte esposte qui prima di essere restituite alle loro sedi di appartenenza). Ora tocca alla pala d’altare, un tempo in Sant’Agostino a Crema, ora all’Accademia Tadini di Lovere, raffigurante la «Madonna con Bambino e Santi», opera di Paris Bordon (Treviso 1500-Venezia 1571), restaurata da Minerva Tramonti Maggi e Alberto Sangalli, e a tre dipinti (uno giovanile, uno della maturità e uno tardo) di Giovan Paolo Cavagna (Bergamo 1550-1626), tutti da luoghi sacri del territorio bergamasco. Si tratta delle «avanguardie» di un più vasto progetto della Fondazione, teso a risanare nel biennio 2016-2017 dieci opere di Cavagna e di Enea Salmeggia (Bergamo 1558-1626), in vista della mostra, realizzata con la Fondazione Adriano Bernareggi, che nell’autunno 2017 renderà omaggio, nel Palazzo del Credito Bergamasco, a quelli che sono considerati i maggiori pittori locali del loro tempo.
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