Simone Facchinetti
Leggi i suoi articoliNon so se vi sia mai capitato di entrare in una stanza e di essere catturati da un quadro appeso malamente. In genere nessuno se ne accorge quando mangia in una trattoria (ne avete mai visto uno allineato, per caso?), mentre potrebbe giustamente esserne irritato in una galleria d’arte o in un museo. Di recente ho visitato la nuova sistemazione degli Autoritratti agli Uffizi e, a un certo punto, ho smesso di contare il numero di quelli disallineati… All’errore ci si fa l’abitudine e all’irrefrenabile impulso di raddrizzare le cose si può trovare una via di fuga, ad esempio scrivendo un pezzo, come questo.
Non sapevo esattamente per quale motivo io continuassi a «puntare» l’«Autoritratto» di Antoon van Dyck che andrà all’asta il prossimo primo febbraio da Sotheby’s a New York (lotto 317, stima 2-3 milioni di dollari). Mentre sfogliavo altri cataloghi d’asta l’occhio continuava a tornare lì. Ma perché? Ci ho messo un po’ a capire che volevo semplicemente «raddrizzare» il quadro. Mi sembrava sbilanciato a sinistra, sentivo cadere il pittore nel vuoto e mi veniva naturale trovare una soluzione per farlo stare meglio.
Al di là di queste piccole ossessioni il punto è che osservando meglio le foto riprodotte in catalogo si scopriva che la tela, nel corso del tempo, aveva in parte perduto i suoi bordi originari; quindi, chi (ma chi diavolo sarà mai stato?) aveva rimontato il quadro sul telaio non poteva affidarsi a delle linee guida prestabilite, perciò l’aveva fatto a «sentimento», ovviamente sbagliando. Da questa spia insignificante (certo io non comprerei mai un quadro che non sta allineato alla parete per disfunzioni congenite) mi è venuto naturale iniziare un percorso tra gli autoritratti di Van Dyck e il confronto con quello, magnifico, della National Portrait Gallery di Londra è risultato piuttosto chiarificante, ma non solo perché sta con il busto dritto.
Potremmo continuare e trovare altri difetti nella versione Sotheby’s (in particolare circa la provenienza, assolutamente non dimostrata dalla collezione di Carlo I) ma fermiamoci qui, solo per evidenziare come alle volte un errore involontario (o inconsapevole) apra le porte alla ricerca illimitata di un nuovo e più giusto equilibrio nelle cose.
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