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Marcel come Duchamp

Federico Florian

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Quando creò la sua opera «Pense-Bête» (1964), Marcel Broodthaers chiuse ufficialmente con la letteratura. Ex poeta povero in canna, cominciò a dedicarsi all’arte visiva all’età di quarant’anni. Il «Pense-Bête» (dal francese «promemoria») consiste in una vetrina contenente 44 copie invendute del suo libro di poesie, incastrate in un blocco di cemento: un simbolico addio alla scrittura, ma anche il principio di una brillante carriera come artista visivo.

Il Museum of Modern Art ospita, a partire dal 14 febbraio, la prima retrospettiva newyorkese dell’artista belga (Bruxelles 1924-Colonia 1976). La mostra segue l’acquisizione, nel 2011, della preziosa Herman e Nicole Daled Collection, che raccoglie lavori di arte concettuale europea degli anni Sessanta e Settanta, tra cui circa una sessantina firmati Broodthaers.

Si tratta di una densa antologica, organizzata in collaborazione con il Reina Sofía di Madrid (che la ospiterà il prossimo autunno), contenente circa 200 opere tra dipinti, sculture, fotografie, film e installazioni. Ampio spazio è dedicato ai primi oggetti dell’artista, realizzati intorno alla metà degli anni Sessanta, in un momento storico particolarmente fervido dal punto di visto artistico, attraversato dalle spinte innovative del Nouveau Réalisme, della Pop art e dell’Arte concettuale.

Oggetti, quelli di Broodthaers, che nascono da assemblage di materiali organici, come dimostra «Surface de moules (avec sac)» (1966), un pannello quadrato la cui superficie è interamente coperta di gusci di cozze («moule», in francese, sta per cozza ma anche per calco). Oppure che indagano temi quali la riproduzione e la circolazione delle immagini, come nel caso di «Visual Tower» (1966), una torre di legno di sette piani occupati da identici contenitori di vetro, ciascuno contenente la medesima immagine, l’occhio di una giovane donna.

Tra le altre opere in mostra il noto «Museum of Modern Art. Département des Aigles», un museo d’arte concettuale fittizio (esperimento ante litteram di Institutional Critique) contenente svariati oggetti e riproduzioni di opere d’arte, che nel 1970 Broodthaers mise in vendita dichiarandone la bancarotta.

Non mancano, inoltre, i «Décors» (uno dei quali esposto alla scorsa Biennale di Venezia), ampie installazioni a metà tra scenografie e period room museali che raccolgono precedenti lavori dell’artista, esposti insieme a oggetti presi in prestito per l’occasione. Ben rappresentata in mostra anche la produzione filmica di Broodthaers, dai brevi documentari ai film sperimentali, a cui si aggiunge un programma di proiezioni serali organizzato dal Dipartimento di Cinematografia del museo.

Federico Florian, 11 febbraio 2016 | © Riproduzione riservata

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