10 A.M. ART diventa un’opera

La galleria milanese e gli interventi pittorici dell’artista Felice Varini sono un tutt’uno in un percorso che coinvolge lo spettatore a 360 gradi

Una veduta della mostra di Felice Varini alla 10 A.M. ART di Milano. Cortesia 10 A.M. ART
Francesca Interlenghi |  | Milano

La 10 A.M. ART di Milano dedica a Felice Varini (Locarno, 1952) la prima personale in galleria dal titolo «Rosso, giallo e giallo/nero», visibile sino al 28 luglio. L’artista franco-svizzero di fama internazionale, attivo fin dagli inizi degli anni Settanta, indaga gli spazi urbani, i paesaggi naturali e gli ambienti interni concependoli come se fossero un foglio sul quale incollare forme geometriche bidimensionali, generando così nuove dimensioni pittoriche che dialogano con la tridimensionalità dei contesti architettonici.

Nei suoi lavori, la tensione estetica deriva proprio dal rapporto tra elementi primari come cerchi, quadrati o triangoli, realizzati con pittura, pellicole e altri materiali e lo spazio espositivo. Sono quindi le circostanze ambientali a determinare il tipo di interventi artistici, trasformando il contenitore in una parte integrante del contenuto.

Il progetto espositivo realizzato in questa occasione si compone di tre installazioni pittoriche site-specific distribuite sui due piani della galleria. Come l’ha pensato?
Al piano terra ho deciso di lavorare sull’integrità totale del volume, coinvolgendo interamente lo spazio, con tutte le sue caratteristiche, estendendo il lavoro dal soffitto al pavimento, inglobando le pareti laterali e anche le finestre. Tutto è posto sullo stesso piano, ho attribuito il medesimo valore ad ogni elemento architettonico. L’opera è costituita da sedici triangoli che si intrecciano nell’area espositiva. Ogni triangolo nasce da un calcolo matematico preciso, che corrisponde alla divisione in otto parti uguali dello spazio, considerato nella sua verticalità. Ogni forma geometrica così determinata è attirata da un punto fisso scelto da me arbitrariamente. Al piano inferiore gioco ancora con il mio alfabeto geometrico e insisto sul concetto di spazialità. Presento, sulla parete di fondo, tre ellissi concentriche di colore giallo e nero e sulla parte architettonica più complessa, di collegamento tra i due ambienti, una sorta di disco giallo.
Una veduta della mostra di Felice Varini alla 10 A.M. ART di Milano. Cortesia 10 A.M. ART
Quello che ha citato poc’anzi, il punto fisso, è il «luogo di partenza» da cui lei proietta il suo disegno, il tracciato che l’osservatore ha modo di conoscere per mezzo delle superfici di colore, in questo caso rosse, gialle e nere.
Lavoro con questo metodo da quarant’anni, perché fin da subito mi è sembrato che fosse la maniera più chiara ed evidente per rapportarmi a un volume e uno spazio e poter stabilire un alfabeto con il quale costruire le mie opere. Ma il punto di vista è sempre un punto di partenza, non ha mai pretesa di essere il punto finale. E, concluso il lavoro, non ci bado quasi più. Posso ritornarci magari, ma resta un elemento di fragilità assoluta. Rappresenta il momento in cui ha inizio la costruzione del rapporto con il volume, è il punto che mi permette di prendere delle decisioni, di creare qualche tipo di forma, scegliere un certo colore, confrontandomi con uno spazio e con le sue caratteristiche. È il punto di partenza per costruire un gioco geometrico.

La parte più interessante, probabilmente, è scoprire che lo spettatore si relaziona con il lavoro al di fuori del punto di osservazione privilegiato, scegliendo cosa e come vedere, muovendosi nell’opera, dentro e attraverso di essa. Conferma?

Lo spettatore fa l’esperienza del volume e quando arriva al punto di vista entra in un momento di fragilità assoluta, perché è sempre incerto di essere o non essere. Nel caso di questa mostra, la pittura coinvolge totalmente lo spazio, instaura un rapporto globale con esso e si creano una quantità di frammenti e di forme geometriche che nemmeno io posso prevedere. So che capiteranno, ma non so come saranno. Le forme cambiano a seconda di come ci posizioniamo. Quindi siamo in una relazione che è sempre di costruzione, sempre in fieri. Una messa in questione continua in cui la pittura si libera completamente del pittore, proclamando la sua indipendenza.

Il dipinto esiste nella sua unità allo stesso modo in cui esiste nella sua frammentarietà. Mi può parlare della relazione che intercorre nel suo lavoro tra il tutto e le porzioni che lo compongono?

Il punto di vista è di per sé un punto banale. Ma fuori da esso, quando i frammenti che compongono il lavoro si scoprono nella loro realtà individuale: ecco che non so più come guardarli. Non posso considerarli alla stregua di un quadro tradizionale. Queste realtà frammentate nello spazio sono realtà, fanno parte del mondo, ma non posso quasi più descriverle, non posso più dire se siano un rettangolo o un triangolo o un trapezio o un parallelepipedo. Non le posso più pronunciare. Sono forse più simili a un suono, a una realtà musicale completamente liberata da qualsivoglia gerarchia, anche accademica.
Una veduta della mostra di Felice Varini alla 10 A.M. ART di Milano. Cortesia 10 A.M. ART
Sebbene molta parte della critica inscriva la sua ricerca nella dialettica tra realtà e illusione, mi pare lei conservi un forte ancoraggio al reale, alla sostanza di cui sono fatti gli ambienti, esterni o interni, nei quali interviene.

La realtà è realtà concreta e importante, da non dimenticare mai, fa parte dei miei strumenti di lavoro. Non la trasformo, non la modifico, la considero per quello che è. Oggi sono in questa galleria, che è uno degli spazi più puri che io abbia mai conosciuto, ma spesso mi capita di lavorare in situazioni molto più complesse e ricche, dove devo relazionarmi con tantissimi materiali differenti. Quando intervengo in esterno c’è la realtà del cielo e delle nuvole, dei chiari e degli scuri, le luci, a differenza che in un contesto interno, sono cangianti e irregolari. Ma ogni volta il mio interesse è rivolto a quello che esiste e per come esiste. Mai cerco di nasconderlo o di creare uno schermo per occultarlo. Il mio quadro, il mio luogo, è come è. Ed è partendo dal dato di realtà che io lavoro. La mia ricerca non si colloca assolutamente nell’illusione, contrariamente a quello che si tende a dire. Sono anzi un anti-illusionista. Le cose sono date, sono chiare e precise e capita quello che capita. È tutto determinato e calcolato, poi però il calcolo conduce ad una specie di anarchia, l’ordine di partenza crea tutto questo disordine, che a sua volta è riconducibile ad un nuovo ordine. A seconda di come lo spettatore si posiziona nello spazio, l’ordine cambia. Noi esseri umani funzioniamo esattamente allo stesso modo. Muovendo da noi stessi, il nostro punto di partenza, cerchiamo di capire il Cosmo. Il nostro punto di vista ci dà le misure e i metodi per andare alla scoperta delle cose, ma è un processo senza fine e di continua messa in discussione.
Una veduta della mostra di Felice Varini alla 10 A.M. ART di Milano. Cortesia 10 A.M. ART
In questa pittura, che non rivendica altro che sé stessa, che cosa rimane della soggettività del pittore?

Niente! Chiaramente il pittore c’è, già il fatto che io decida di dipingere e di dipingere queste forme, di fare la mia pittura legata alla realtà, allo spazio e al volume, è già una scelta soggettiva. Ma non ci sono dentro né messaggi sentimentali, né politici. Sono totalmente al di fuori di questo, sono nella realtà della pittura e del gesto pittorico. Come fare pittura? Perché fare pittura? Quali ragioni dare alla pittura oggi, tenendo conto di tutte le forme che posso incontrare? La risposta, quel che resta, in ultima istanza, è la pittura. Essa parla di sé stessa ed esiste in questa maniera. Esiste nello spazio.

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