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Un obiettivo come un missile

Chiara Coronelli

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«Sono europeo. Sono complice. Volevo mettere in primo piano questa prospettiva in un certo modo, e provare a vedere i rifugiati e gli immigrati illegali come li vedono i nostri Governi». Così Richard Mosse spiega il disegno del suo nuovo lavoro che, come «The Enclave» vincitore del Deutsche Börse Photography Prize 2014, ha realizzato in collaborazione con il compositore Ben Frost, che torna a firmare la colonna sonora, e con l’artista, cineasta e direttore della fotografia Trevor Tweeten. Il risultato si intitola «Incoming» ed è una videoinstallazione immersiva, proiettata su tre schermi larghi 8 metri ciascuno, che viene presentata alla Curve Gallery del Barbican Centre dal 14 febbraio al 23 aprile.

Mentre per riprendere la violenza della guerra in Congo aveva utilizzato una pellicola a infrarossi che tingeva di color magenta la natura, per seguire lo spostamento dei popoli tra Medio Oriente, Europa e Nord Africa, Mosse (nato a Kilkenny, in Irlanda, nel 1980) sceglie una fotocamera ad alta tecnologia capace di rilevare il corpo umano da oltre 30 chilometri di distanza e di identificare con precisione un individuo a 6 chilometri e 300 metri, sia di giorno che di notte. Un’arma che lui piega al racconto di una delle più urgenti crisi umanitarie e politiche dei nostri tempi, per registrare la disperazione attraverso il filtro gelido della tecnologia militare, allentando i confini tra fotografia giornalistica, documentaria e concettuale.

Nel 2015 oltre un milione di persone sono fuggite verso il continente europeo per lasciarsi dietro guerre, fame e persecuzioni: l’opera di Mosse ne testimonia il viaggio attraverso riprese registrate da una macchina fotografica che vede come vedono i missili, che restituisce solo il bianco e nero, che non distingue il colore della pelle ma che sa percepirne il calore, e registrare la sagoma luminosa di corpi che lottano per la sopravvivenza, magari addormentati nei campi profughi, o mentre attraversano un corso d’acqua, o già cadaveri mentre vengono sottoposti all’analisi del Dna per l’identificazione. Una massa anonima anche se ripresa in primo piano, anche quando un singolo bambino è al centro della scena, reso irriconoscibile da un effetto alone, proprio mentre la sua umanità si impone con un’evidenza inevitabile.

Commissionata dal Barbican Centre di Londra e dalla National Gallery of Victoria di Melbourne (dove la mostra farà tappa in autunno), e sovvenzionata dall’Arts Council England e dalla Stanley Thomas Johnson Foundation, Incoming è anche il titolo del libro che Mack Books pubblica per l’occasione, dove per quasi 600 pagine si susseguono i video still, combinandosi in modo da ritrovare la natura coinvolgente dell’opera.

Chiara Coronelli, 12 febbraio 2017 | © Riproduzione riservata

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