Il loggiato del Cortile Maqueda a Palermo. A destra il portico della Cappella Palatina. Palazzo Reale © Franco Cosimo Panini Editore

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Il loggiato del Cortile Maqueda a Palermo. A destra il portico della Cappella Palatina. Palazzo Reale © Franco Cosimo Panini Editore

Sicilia, sei anni dopo le gare aggiudicati i servizi al pubblico nei siti culturali

Ma tra gare andate deserte e strutture inadeguate molti musei e aree archeologiche dell'isola rimangono «scoperti»

Silvia Mazza

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Palermo. La Neapolis, il Museo Paolo Orsi e la Galleria Bellomo a Siracusa, e poi Taormina e Giardini Naxos e ancora il Chiostro di Monreale, Segesta, Selinunte e Valle dei Templi di Agrigento: ci sono finalmente gli affidamenti dei «servizi al pubblico» nei siti culturali siciliani.
A sei anni da quando furono pubblicate le gare e l’allora assessore ai Beni culturali Gaetano Armao annunciava quella che avrebbe dovuto essere «la più rilevante iniziativa di partenariato pubblico-privato nel settore dei beni culturali in Europa», riuscendo pure a giocare d’anticipo rispetto al Mibact.
Le aggiudicazioni in via provvisoria arrivarono nel gennaio 2012, ma poi ci ha pensato il governatore Rosario Crocetta a bloccare tutto, nell’ora calda dello scandalo Novamusa, concessionaria di gran parte dei siti culturali isolani, condannata nel giugno 2014 dalla Corte dei Conti: le annullò in autotutela nel febbraio 2013, perché secondo lui viziate dall’assenza di una norma regionale sugli appalti, che poi, però, la Corte Costituzionale stabilì essere illegittima. L’iter amministrativo ha potuto, quindi, riprendere e, così, dal gennaio scorso le aggiudicazioni sono diventate definitive.

I nuovi gestori dovranno versare alla Regione il 29 per cento degli incassi da vendita dei biglietti, il 70 per cento per servizi integrati, il 30 per cento per manifestazioni ed eventi, nonché 37.735 euro come canone concessorio.
I siti dell’agrigentino vanno alla Prc Codess Coopcultura, che si è aggiudicata anche quelli de palermitano, (Duomo di Monreale e il Castello della Zisa). I grandi siti archeologici di Segesta e Selinunte alla Munus.
A gestire biglietterie e bookshop dei principali siti del siracusano e del messinese, invece, tra i più rappresentativi di tutti gli affidamenti siciliani sia sotto il profilo della rinomanza e dell’affluenza di pubblico sia sotto il profilo del ritorno economico, sarà la società The Key, capofila di un raggruppamento composto da Civita cultura e Mondadori Electa. Ma se per quest’ultime non servono presentazioni, i soliti grandi soggetti che, singolarmente o attraverso associazioni temporanee d’impresa, da anni sono presenti nel settore nel resto del Paese, con la deriva monopolistica evidenziata negli anni passati dalla Corte dei Conti o da Confcultura, chi è The Key? Si tratta di una srl in liquidazione dal 2012 al 2015 e rimessa in bonis nel maggio 2015, subentrando all’originaria capofila Jumbo Grandi Eventi, travolta da vicende giudiziarie, che aveva conferito il ramo d’azienda comprendente le gare siciliane alla Eventi e Comunicazioni s.r.l. e, quest’ultima,a sua volta in fallimento, alla The Key, di cui è presidente Andrea Benedino, esponente del Pd piemontese. Come ricostruisce l’Espresso (30 settembre 2015) si tratta di società tutte coinvolte in vicende giudiziarie legate all’Expo di Milano, con la Jumbo Grandi Eventi, gestita dall’imprenditrice Rossella Bussetti, nel cui curriculum, scrive il settimanale, «c'è anche una serie di incidenti giudiziari, da ultimo un rinvio a giudizio nell'inchiesta Grandi Eventi, che ha fatto luce su un sistema illecito per controllare le gare bandite da Regione Sicilia».
La decisione dell’Anac, Autorità Nazionale Anticorruzione di bloccare l’Expo di The Key è evidente che non abbia avuto alcun peso per la Regione Siciliana, che ha proseguito dritta nell’assegnazione dei lotti a base di gara.

La geografia delle assegnazioni resta, comunque, scarna e a macchia di leopardo: restano fuori i siti dell’ennese, perché all’epoca non era ancora rientrata la Venere di Morgantina e la Villa romana del Casale era in restauro; due siti di Catania e uno di Siracusa, che non erano in possesso delle strutture per garantire ai privati di gestire i servizi. Ci sono poi le gare andate deserte a Ragusa, Caltanissetta e per un lotto di Messina a cui si aggiungono i siti nelle stesse condizioni perché l’Ati esclusa era l’unico candidato, come per il museo archeologico di Lipari, la Villa romana di Patti e l’antiquarium di Tindari, ma anche il Museo regionale Accascina di Messina, penalizzato da una collezione divisa tra vecchia e nuova sede ancora da completare.
Infine, a Palermo restano scoperti, «a sorpresa», il Chiostro di San Giovanni degli Eremiti e persino Palazzo Abatellis.

Le offerte, quindi, si sono concentrate nei luoghi di consolidata attrazione turistico-culturale, anche se questo scenario nelle intenzioni dell’Amministrazione doveva essere scongiurato: «la suddivisione in lotti, con importi contrattuali e oneri di investimento differenziati, come ci spiegava l’allora dirigente generale Gesualdo Campo, permettendo la partecipazione anche al singolo lotto, voleva stimolare il mondo imprenditoriale, che, a fronte di un investimento minimo, poteva realizzare un progetto con potenzialità economiche più ampie». Mentre l’accorpamento dei «siti più appetibili con altri meno attraenti economicamente», doveva «evitare squilibri e “diserzioni” dei bandi».

Insomma, la Sicilia riapre le porte a quegli stessi privati a cui il nuovo corso Mibact sembra restringere l’accesso (a gare in stallo) con la rinnovata Ales, società di proprietà del Ministero, che potrà gestire anche i servizi al pubblico senza bandi.

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