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Rodin prepicassiano

Cento anni fa, il 17 novembre 1917, moriva Auguste Rodin, uno dei massimi scultori moderni. Il Musée Rodin, che aprì nel 1919 nella casa-atelier che l’artista cedette allo Stato, con tutte le sue opere, proprio perché fosse trasformata in museo, celebra lo scultore lungo tutto il 2017 con appuntamenti in Francia e nel mondo, ma il clou è «Rodin: la mostra del centenario», che si tiene dal 22 marzo al 31 luglio al Grand Palais. Abbiamo intervistato la direttrice del Musée Rodin, Catherine Chevillot, che ne è la curatrice.    

Qual è la chiave di lettura di questo «anno Rodin»?
Desideravo dimostrare che Rodin è un artista aperto sulla modernità e sul XXI secolo, che la sua opera continua a contribuire al rinnovamento artistico.

In che cosa consiste la sua modernità?
Rodin è moderno per aver saputo esprimere la mutevolezza della sua epoca. Il suo obiettivo era restituire le passioni dell’animo umano, con un atteggiamento moderno che rinvia a Baudelaire. Ma per noi oggi è moderno soprattutto in quanto sperimentatore e precursore di nuove tecniche. Rodin praticò l’assemblaggio prima di Picasso: quando introduceva una sua scultura in un vaso antico ricorda Picasso che si serviva di un cucchiaio di assenzio per comporre un’opera.

Perché è più noto oggi al grande pubblico che in passato?
Rodin ha cominciato a interessare i collezionisti europei sin dal primo ’900. Negli Stati Uniti  molto si deve a Gerard Cantor, che donò centinaia di opere ai musei americani. Il museo Rodin di Filadelfia aprì solo nel 1929, ma via via la sua presenza si è imposta nei musei di tutto il mondo. È vero però che la sua fama presso un pubblico di non addetti ai lavori è ben più recente, e si può far risalire agli anni Novanta. Molto lo si deve al turismo di massa. Ricordo che nel 2007 per il 50mo anniversario del Trattato di Roma ogni Stato membro aveva prestato al Quirinale un’opera, e la Francia aveva scelto «Il pensatore». Penso che questo abbia contribuito a fare di lui una sorta di ambasciatore della Francia nel mondo.

Chi vuole conoscere il lavoro di Rodin può visitare il museo. Che cosa apporta di più questa mostra?
Ho pensato di mostrare l’opera di Rodin attraverso il prisma degli scultori moderni e contemporanei del XX e XXI secolo. La mostra illustra quelli che, a mio avviso, sono i due aspetti più forti dell’opera di Rodin per il nostro tempo: l’espressionismo e la sperimentazione. Ogni sezione presenta da un lato l’apporto di Rodin, dall’altro lo sguardo che sul suo lavoro hanno posato le generazioni successive.

Insomma, non si vede solo Rodin.
No, ma i due terzi delle opere esposte sono sue. L’altro terzo riguarda gli artisti della prima generazione, Picasso, Matisse, Brancusi. Quindi gli artisti della generazione degli anni Quaranta e Cinquanta, Giacometti, Germaine Richier, Eugène Dodeigne. Si arriva fino a oggi, con le due correnti dell’Espressionismo: quella lirica di De Kooning, e quella più dura dei nuovi fauve tedeschi con Baselitz, Lüpertz e Penck. Siamo più su un concetto di eredità che di influenza.

Rodin ha scritto uno splendido testamento spirituale. Qual è secondo lei la raccomandazione più forte che ha lasciato?
Nel suo scritto Rodin sostiene che si può e si deve rompere con il proprio tempo per poter innovare. Del resto se ha voluto fondare un museo lo ha fatto proprio pensando agli artisti che sarebbero venuti dopo di lui.

Tra altri cent’anni, Rodin potrà ancora sorprenderci?
Quando si parla di giganti della scultura, come Michelangelo, che ha avuto un peso notevole sul lavoro di Rodin, gli sguardi che le generazioni successive di artisti poseranno su di loro non potranno mai esaurirli, anzi, continueranno ad arricchirli. Penso che questo valga anche per Rodin.

Luana De Micco, 05 marzo 2017 | © Riproduzione riservata

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Rodin prepicassiano | Luana De Micco

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