Private sales: privacy sì, ma dipende

L’Alta Corte inglese riconosce che ci sono dei limiti alla riservatezza sui nomi dei contraenti

«Calanque de Canoubier (Point de Bamer)» (1896) di Paul Signac. Foto Manhattan District Attorney’s Office
Gloria Gatti |

«È nostro!», quel grido di gioia e la luce negli occhi di Rina, nel film di Pupi Avati «Lei mi parla ancora» quando si aggiudica al telefono il lotto 45 («Ritratto dell’avvocato Francesco Righetti» di Guercino), ipotecando la casa e la farmacia, ci ha rammentato perché l’asta è e resterà il sancta sanctorum delle vendite d’arte.

Durante la pandemia il mercato, però, si è fortemente alimentato grazie alle private sales, che con la loro riservatezza hanno permesso ai collezionisti che ne avevano bisogno di vendere in questo momento senza attendere i calendari degli auctioneer e soprattutto al riparo dall’unsold, e agli acquirenti di non trovarsi in una posizione competitiva nell’acquisto dell’opera.

Eccezione fatta per i pochi proprietari di masterpiece, opere contraddistinte da una particolare unicità o rarità, che hanno il «potere contrattuale» di negoziare con la casa d’aste condizioni ad personam (garanzie proprie o di terze parti, irrevocable bid, anticipazioni di parte di prezzo o condivisione dei profitti, abbattimento commissioni, posizionamento in catalogo), i collezionisti accettano di norma condizioni unilateralmente predisposte e imposte dalla casa d’aste, sia per quanto concerne il contratto di conferimento (mandato a vendere), sia per le condizioni di vendita qualificabili come offerta al pubblico ex art 1336 c.c. che diventano il contratto cui il rapporto soggiace.

Le condition of sale prevedono esoneri di responsabilità sulla descrizione dei lotti e sulla loro autenticità. Le opere sono vendute nello stato di fatto in cui si trovano e quelle delle case d’asta sono «solo opinioni», seppure alcune risalenti sentenze (Tribunale di Roma 5 febbraio 1977 e Corte d’appello di Roma 17 luglio 1979) abbiano dichiarato la nullità delle clausole di esonero da ogni garanzia sullo stato di qualità e autenticità delle cose vendute per conto terzi ex art. 1229 c.c. perché non esplicitamente approvate per iscritto.

In tempi più recenti, però, le principali case d’asta hanno inserito una previsione pattizia che riconosce all’acquirente il diritto contrattuale di ottenere il rimborso del prezzo nel caso in cui un’opera si riveli non autentica entro 5 anni dalla vendita e i disclaimer, contestati nel Regno Unito nel 2012 nel caso Avrora Fine Arts Investment Ltd v Christie, Manson and Woods Ltd, hanno retto al vaglio della Corte, con conferma del principio del caveat emptor.

Per contro le private sales concluse attraverso case d’asta, dealer o galleristi sono regolate da accordi privati, negoziati singolarmente e possono prevedere permute, tempi di pagamento più lunghi ed escrow agreement come garanzia collaterale, e gli accordi teoricamente sono coperti dalla più assoluta riservatezza.

La riservatezza, però, non ha retto davanti alla High Court di Londra: chiamata a pronunciarsi relativamente alla vendita del «Calanque de Canoubier» di Paul Signac (Linda Hickox v Simon Dickinson, Simon C Dickinson Ltd [2020]), ha condannato il noto mercante a rivelare l’identità del compratore e i dettagli della vendita non riconoscendo che «la privacy degli acquirenti e la loro preoccupazione di evitare la pubblicità sulla portata della loro ricchezza e dei loro beni» fosse una considerazione dirimente e una prassi consolidata.

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