Emilia-Romagna | Rapporto 2020 sulla cultura

Mauro Felicori, assessore alla Cultura e al Paesaggio, punta sulla performance del sistema pubblico

Mauro Felicori. © Carmine Colurcio PhotoGraphic Designer. Nato a Bologna nel 1952, laureato in filosofia all’Alma Mater Studiorum di Bologna, specializzato in Economia della cultura e politiche culturali, Mauro Felicori è stato direttore generale della Reggia di Caserta dal 2015 a novembre 2018. Direttore del Dipartimento economia e promozione della città di Bologna nel 2011-15, è docente nelle Università di Udine e Bologna e consigliere di amministrazione della Fondazione Marconi di Milano e della Fondazione Lucio Saffaro di Bologna. Dal 28 febbraio 2020 è assessore alla Cultura e al Paesaggio della Regione Emilia-Romagna
Mauro Felicori |

Finirà questa epidemia, prima o poi finirà. Passerà un po’ di tempo e cominceremo a trarre qualche bilancio. È facile prevedere che alcune (poche) imprese si saranno avvantaggiate con la crisi, molte (tante, quasi tutte) avranno diminuito i fatturati del 10, 20 o 30%, altre (speriamo poche) non ce l’avranno fatta. Per anni avremo il segno meno davanti all’Italia. Difficile chiedere al settore privato di fare nel breve periodo di più di quanto già non faccia in modo ordinario, per la sua natura di sistema di imprese esposto alla concorrenza internazionale. Se vogliamo che il sistema Italia metta il segno più davanti alla sua immagine, è alle performance del sistema pubblico che dobbiamo affidarci. Seguendo il principio di sussidiarietà potrebbe lasciare al mercato, alla cooperazione, al terzo settore gran parte dei servizi alla persona. Lo Stato e le istituzioni pubbliche gestiscono un immenso patrimonio di beni culturali, naturali e paesaggistici, un patrimonio di valore incalcolabile che siamo riusciti a trasformare in un costo anziché usarlo per generare lavoro e ricchezza. La riforma Franceschini ha dimostrato che i musei e i siti italiani, gestiti con una autonomia pure ancora parziale, aumentano tutti gli indicatori, visitatori ed entrate da biglietteria in primis. La parentesi Bonisoli non è stata abbastanza lunga da infliggere danni irreparabili. Il primo atto del nuovo mandato di Franceschini è stato ottimo: sette nuovi musei autonomi. Devono seguire atti altrettanto coraggiosi: restano appesi, privi di identità i Poli regionali, sempre più anonimi. La mia proposta è di scioglierli, di aumentare ancora il numero di musei autonomi e aggregare i piccoli ai musei autonomi. Ma è soprattutto nella gestione del personale, ancora di competenza centrale che si vede la necessità di una svolta. Il personale è il bene più prezioso che abbiamo nei beni culturali. Ma selezionare le risorse umane è un processo complesso, sofisticato, che va fatto su misura per ogni azienda.

Troppo moderata?
L’Emilia-Romagna, potrà stupire ma anche no, non ha avuto un ruolo speciale in questa stagione di conflitto sulla politica per i beni culturali, troppo presa dai ricordi dei bei tempi andati, avviluppata in un moderatismo ormai connaturato a una regione che sta troppo bene per avvertire forte l’esigenza di grandi cambiamenti, con un sistema culturale dominato da figure spesso prive di ambizione. Basti pensare all’assenza della Pinacoteca di Bologna dal primo gruppo di musei resi autonomi (in cui pur entrarono le Gallerie Estensi di Modena e Ferrara); e persino dal secondo (in cui pur entrò la Pilotta di Parma), che non ha suscitato alcuna reazione né a Bologna né in regione. Per anni. Il risultato è che, benché ogni singola realtà museale dell’Emilia-Romagna stia facendo un buon lavoro, e talvolta anche ottimo, non si ravvisa nella regione quel movimento di rinascita dei musei e dei beni culturali che è vistoso in Italia.

Come sfidiamo l’Europa
Eppure, anche se l’industria, l’agricoltura, i servizi qui sono potenti e se ignoravamo la disoccupazione, il futuro dell’Emilia-Romagna avrà bisogno della ricchezza che solo la creatività può generare. Ecco perché occorre al più presto mettere a sistema i musei della regione (statali, civici, universitari, ecclesiali, aziendali, delle fondazioni), che con il sistema teatrale regionale possono costituire l’ordito di un’Emilia-Romagna che sfida nella ricerca, nella tutela e nel marketing le metropoli europee. Così come non ha un capoluogo riconosciuto come capitale regionale, alla stregua di Milano, Torino o Napoli, sicché deve trovare nel policentrismo la sua potenza.

Un’ispirazione reticolare
In Emilia-Romagna non c’è un museo o un sito che, singolarmente, abbia un rilievo mondiale, come gli Uffizi o Pompei. Ma il tessuto dei suoi musei e dei siti, nonché delle biblioteche storiche e degli archivi, è un insieme potente di storia, arte, scienza, tecnologia. Pensiamo ai musei dell’industria: Ducati, Ferrari, Lamborghini; o ai musei di impresa, come il Mast e l’Opificio Golinelli a Bologna. Oppure ai musei di anatomia e scienze naturali degli atenei (è di questi giorni la notizia del prossimo avvio del cantiere di Sant’Agostino a Modena nell’area dei musei universitari). Bisogna ricondurre a uno questo sistema, senza ledere, anzi esaltando le singole autonomie. In teoria, questi sistemi reticolari dovrebbero essere più produttivi di quelli centripeti, centralizzati, ma certo richiedono più ispirazione, non solo nella sfera politica.

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