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Parlano i direttori dei venti supermusei: il Museo Archeologico di Napoli

Olga Scotto di Vettimo

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Paolo Giulierini guida il Museo Archeologico Nazionale, che a marzo riapre i giardini e nel 2016 le sezioni egizia ed epigrafica

Insediatosi lo scorso ottobre, Paolo Giulierini, 47 anni, toscano di Cortona (Ar), è il nuovo direttore del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, tra le istituzioni museali rese autonome dalla recente riforma del ministro Franceschini.
Laureato e specializzato in Archeologia classica, con tesi in Etruscologia, Giulierini ha ricoperto dal 2001 al settembre 2015 gli incarichi di dirigente del Comune di Cortona, occupandosi dei servizi culturali e al cittadino, e di direttore del Museo dell’Accademia Etrusca e della Città di Cortona, capace di attirare circa 40mila visitatori l’anno. 


Con quali esperienze giunge a Napoli?

La mia formazione da archeologo classico è stata affiancata da un’esperienza sugli aspetti gestionali, che non si imparano se non praticandoli. Tra gli ambiti di mia competenza al Comune di Cortona, i Servizi sociali, oltre al Turismo e alla Scuola, sono stati determinanti per sviluppare alcune capacità. Inoltre come dirigente ho partecipato a progetti europei e ho tessuto rapporti istituzionali ratificando convenzioni paritetiche con il Louvre, il British Museum e l’Ermitage.

Quali difficoltà gestionali ha già individuato? È preoccupato per il possibile abbandono da parte del Mibact?

Lavoro per una totale autonomia finanziaria dallo Stato. Ritengo che la riforma abbia offerto importanti possibilità per la gestione: innanzitutto rendere autonomi i musei significa averli resi indipendenti dalla Soprintendenze. Il Mann ha oggi un suo Iban bancario, quindi la possibilità concreta di intercettare finanziamenti non statali, attraverso la ricerca di sponsor. L’altra grande novità è l’introduzione di una direzione gestionale che sostituisce la tradizionale figura di direttore scientifico, impossibilitato a entrare nel merito delle questioni di gestione effettiva del museo. L’attuale direttore, ad esempio, può direttamente operare una programmazione sui prestiti. Stiamo già lavorando al progetto «Mann nel mondo», per fare conoscere anche nuovi pezzi senza depauperare la collezione permanente. La mission è recuperare l’identità del Mann come museo della città con i suoi intrecci dinastici e familiari (le collezioni) e gli scavi (Ercolano e Pompei), evidenziando l’apporto dei Borbone e poi dei Savoia all’archeologia ed evitando di scindere tra casata e pezzo. Questo può avvenire solo se si mostra la storia del Palazzo, delle collezioni e di chi le ha patrocinate. Occorre che il Mann sia considerato come una realtà museale molto più complessa e articolata. Il Mann non è solo Pompei.


Teme la diffidenza di un territorio ancora sconosciuto? Come opererà?


Su diversi fronti. Innanzitutto metterò in evidenza il codice culturale del museo anche attraverso una sua diversa comunicazione: rifare il logo e l’intera immagine coordinata, ma anche avviare una comunicazione tentacolare. Non è possibile atterrare all’aeroporto di Napoli o visitare gli scavi di Pompei e non trovare indicazioni del Mann. Occorrerà anche stabilire un rapporto di continuità e non di separatezza tra quella parte della collezione Farnese che conserva il Museo di Capodimonte e quella che, invece, è rimasta al Museo Archeologico. Inoltre, è imprescindibile che il museo stabilisca rapporti con il territorio non solo di partenariato economico ma anche culturale, attraverso la stipula di convenzioni con istituti di ricerca ed eccellenze universitarie cittadine, i cui studi verranno impiegati per il riordino delle collezioni. Inoltre il museo dovrà occuparsi del sociale, proponendo progetti didattici anche in collaborazione con realtà e quartieri disagiati. 

La riforma non ha coinvolto il personale. Quale situazione ha trovato?

Grande competenza scientifica. Ma bisogna lavorare affinché i dipendenti sentano proprio il museo. Intendiamo aprire ai sindacati la discussione sul piano strategico per giungere a una progettualità davvero condivisa, che consolidi il senso di appartenenza. I dipendenti devono appropriarsi del posto in cui lavorano, credere nel progetto condiviso, suggerire come migliorare il museo e la sua fruibilità.

In che cosa consiste la programmazione?

A marzo s’inaugurerà la mostra «Mito e Natura», proveniente da Palazzo Reale di Milano. Contestualmente apriremo i giardini storici, che auspichiamo diventino luogo di ritrovo occasionale, opportunità di aggregazione e di scambio. Nel 2016 apriranno la sezione egizia ed epigrafica; nel 2017 quella magnogreca, con una selezione dei circa 8mila vasi conservati; infine nel 2019 s’inaugurerà il braccio nuovo che ospiterà servizi aggiuntivi, ristorante e auditorium.


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Olga Scotto di Vettimo, 21 gennaio 2016 | © Riproduzione riservata

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