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Le tracce «contaminate» di due migranti

Federico Castelli Gattinara

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La pakistana Shahzia Sikander e il kosovaro Sislej Xhafa al MaXXI

Ad accomunarli è la storia dei  rispettivi Paesi d’origine, segnati da una scia di oppressione e violenza, e l’approdo a New York, dove entrambi vivono e lavorano: il MaXXI allestisce in parallelo personali diverse e affascinanti, dedicate a Shahzia Sikander, nata nel 1969 in Pakistan, e a Sislej Xhafa, nato nel 1970 in Kosova, così si dice in albanese, e formatosi in Italia. «Ecstasy as sublime, heart as vector», dal 22 giugno al 23 ottobre alla Galleria 5, è la prima mostra personale di Shahzia Sikander in un museo italiano, a cura di Hou Hanru, direttore del MaXXI, e Anne Palopoli.

Presenta oltre 30 lavori allestiti ad hoc in quello che è lo spazio più difficile dell’edificio progettato da Zaha Hadid e subito cattura il visitatore con la videoanimazione «Parallax» (2013) che per 28 metri segue la curvatura del muro della galleria. È un lavoro immersivo, sorta di fregio in cui  continue trasformazioni di immagini, letture poetiche e musiche del compositore cinese Du Yun spingono il visitatore a una perdita del punto di vista abituale. Concepito per la Biennale di Sharjah, è paradigmatico del modus operandi della Sikander, che parte dal disegno, dalla miniatura indo-persiana della sua formazione, e lo trasfigura con la digitalizzazione e l’animazione. La contemporaneità si avvera in questo continuo dislocare, mischiare, spostare simboli in altri contesti, scardinare regole per una nuova visione della realtà. Una realtà sempre piena di cultura, sofisticata, un modo di riflettere sulla vicenda e la condizione dell’uomo.

In «Parallax» il viaggio tra deserti, raffinerie, corsi d’acqua degli Emirati Arabi, terra segnata dal petrolio, è animato da piccole sagome nere, i capelli delle Gopi (seguaci di Krishna) ispirati all’iconografia indù e trasformati in segno grafico. Le si ritrova in «SpiNN» e in «Gopi-Contagion», proiettato a ottobre a Times Square.

In mostra anche vecchie e nuove video animazioni, da «Nemesis» e «Pursuit Curve» a «Gold Oasis», sull’epidemia di Ebola del 2015, Sono inoltre allestiti disegni e stampe, tra cui «Portrait of the Artist Series» ispirata al viaggio di Maometto nell’aldilà. Davanti alla vetrata, «The Six Singing Spheres» è una nuova serie di disegni realizzata per la mostra (catalogo Bruno Editore).

«Benvenuto!», dal 2 giugno al 2 ottobre alla Galleria 1, a cura di Hou Hanru con Luigia Lonardelli, è un’importante retrospettiva di Sislej Xhafa, già molto noto e amato in Italia, dove ha studiato ed esposto più volte. In parallelo a Roma è visibile un suo lavoro accanto alla fontana della Meta Sudans al Colosseo, una «sua» fontana alta 30 metri fatta di mani di resina. Il lavoro di Xhafa ha un lato ironico e provocatorio stimolante e mai retorico, dato che «come artista non m’interessa riflettere la realtà, ma voglio interrogarla e metterla in discussione».

La mostra si apre con una performance con l’Orchestra d’archi Roma Sinfonietta (con i musicisti incappucciati), quindi si sviluppa in 30 opere dagli anni Novanta ad oggi, una realizzata ad hoc. Si parte dal «Benvenuto» del titolo che rielabora un’installazione sulle colline di Casole d’Elsa del 2000 e si allarga a temi sempre più drammaticamente attuali, legati a migrazioni, coesistenza pacifica tra culture e religioni, legalità, identità e potere, vicini al vissuto dell’artista. L’allestimento non segue l’ordine cronologico, ha ampi vuoti e spazi densi di opere, anche molto diverse per mezzi e tecniche impiegati: oggetti tra i più disparati su cui l’autore è intervenuto, video, persino una scultura in marmo nero di Garibaldi.

In «This Call May Be Recorded For Quality Service» (2012-16) Xhafa ricostruisce lo yin e lo yang in rosso e nero con circa 2.400 cellulari di vecchia generazione. In «My Garden» una serie di cartacce, buste, bottiglie vuote e posate di plastica sul pavimento ridisegnano un giardino dall’estetica rovesciata. Sulla piazza del museo il corto circuito è tra il tavolo di plastica, le tre sedie e l’ombrellone sotto la scritta al neon «Paradiso». Dal 21 giugno al via anche Yap MaXXI, lo Young Architects Program giunto alla sua sesta edizione. Oltre al progetto vincitore dello studio Parasite 2.0, in mostra tutti i finalisti.

Federico Castelli Gattinara, 07 giugno 2016 | © Riproduzione riservata

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