Tesoro di Morgantina. Pisside con la raffigurazione della Scilla, o forse Sikelia, in atto di lanciare un masso di pietra lavica

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Tesoro di Morgantina. Pisside con la raffigurazione della Scilla, o forse Sikelia, in atto di lanciare un masso di pietra lavica

Le restituzioni, «volontarie» ma decide il giudice

Silvia Mazza

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Aidone (Enna). Le restituzioni delle opere trafugate da Morgantina passano attraverso la magistratura anche quando sono «volontarie».
Il 29 gennaio è tornata in Sicilia, restituita dal J.P. Getty Museum di Los Angeles all’Italia, la «Testa di Ade», terracotta policroma ellenistica di dimensioni pari al vero, trafugata alla fine degli anni Settanta dal santuario in contrada San Francesco Bisconti. Ma non direttamente al Museo archeologico di Aidone, a cui già il museo californiano aveva restituito, nel 2011, la «Demetra» (conosciuta come «Venere») e, l’anno prima, il «Tesoro di Eupolemo» dal Met (qui esposto fino al 2019, per quell’accordo «difettoso» di prestito alternato quadriennale, cfr. n. 339, feb.’14, p. 6), bensì sotto sequestro a Palermo.
Il reperto, infatti, è stato restituito a seguito della richiesta di rogatoria internazionale formalizzata dalla Procura di Enna, che ha coordinato il Nucleo dei Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Palermo.

Di anni ne sono passati ben tre da quel gennaio 2013 in cui il Getty annunciava la restituzione «volontaria» alla Sicilia del reperto che aveva acquistato nel 1985 dal collezionista americano Maurice Tempelsman, nelle cui mani era pervenuto per il tramite di quel Robin Symes, mercante d’arte coinvolto nell’acquisto della coppia di acroliti (restituiti ad Aidone nel 2009) e della statua di Demetra, arrestato il 2 febbraio scorso, dopo il sequestro a Ginevra dei suoi depositi contenenti centinaia di pezzi di grande valore provenienti in gran parte dall’Italia. L’annuncio seguiva, infatti, l’accertamento della provenienza dal sito archeologico nell’ennese, con la quale, e non più con quella generica dalla Grecia o dall’Italia meridionale, sarebbe poi stato esposto alla mostra sulla Sicilia, tra aprile 2013 e gennaio 2014, prima al Getty e poi al Cleveland. Conclusa l’ultima esposizione, la «testa» era, quindi, finita al buio dei magazzini del primo museo, per restarvi fino all’altro ieri. Perché?

Perché rimaneva da sciogliere il nodo della formula giuridica di restituzione. Quando nell’ottobre 2013 s’insedia al Servizio Musei del Dipartimento siciliano Beni culturali Guido Meli, già direttore e progettista del restauro della Villa romana del Casale, «ho trovato la pratica, ci racconta, agli atti d’ufficio che conteneva la proposta del Getty di donare il reperto alla Sicilia, avendone accertato la provenienza; di concerto col Mibact si stabilì che la proposta di donazione, da parte del museo californiano, non era perseguibile, proprio perché, accertata la proprietà italiana del reperto, non si sarebbe trattato di donazione ma di restituzione. Della vicenda fu informato, tra la fine del 2013 e i primi del 2014, il Nucleo Tutela dei Carabinieri di Palermo, durante un incontro avuto con il comandante Luigi Mancuso e il dirigente generale del Dipartimento Beni culturali del tempo, Sergio Gelardi, al fine di trovare ogni utile soluzione, anche ricorrendo alla possibilità di riconsegna del pezzo tramite valigetta diplomatica. Più volte, durante il 2014, ho richiesto informazioni sullo stato dell’arte ai Carabinieri, fino al mio pensionamento dell’ottobre dello stesso anno, ricevendo sempre la risposta che stavano lavorando al caso, senza ulteriori particolari».

Ad oggi, quindi, nonostante siano trascorsi tre lunghi anni, nonostante l’unica cosa certa fosse che, in un modo o nell’altro, l’importante reperto avrebbe fatto ritorno al museo di Aidone, non si è pensato a predisporre nulla per l’allestimento in un museo che, tra l’altro, perde 2,4 milioni di fondi europei nell’ambito di uno stanziamento per valorizzare i musei siciliani, insieme a quelli di altre regioni del Sud (cfr. ilgiornaledellarte.com, 10 settembre 2015). Né si sa con precisione quando, dopo il dissequestro, sarà lì trasferito. Forse ad aprile. Forse si farà prima una mostra a Palermo. Insomma, benché nella conferenza stampa alla Procura di Enna si sia sottolineato che l’azione della Procura e del Nucleo è stata condotta in sinergia col Dipartimento, questo sembra sia stato colto quanto meno impreparato. Eppure l’istituzione pubblica siciliana ha giocato un ruolo da protagonista nella vicenda, anche per un altro motivo.

È stata un’archeologa alle dipendenze proprio di quel Servizio Musei che ha seguito l’intera vicenda, Lucia Ferruzza, a identificare la provenienza da Morgantina di «Barbablù», come la «Testa di Ade» è stata ribattezzata da Serena Raffiotta, l’altra archeologa siciliana a cui s’intesta pure la scoperta, avendo pubblicato nel 2009 quel ricciolo «di cui sospettai subito, ci ha detto la Ferruzza, l’appartenenza alla “testa” che avevo studiato anni prima al Getty come Graduate Intern». La prova del nove avviene nel 2012, quando «si coglie l’occasione, prosegue, di una mostra lì allestita sul culto di Demetra a Morgantina per accostare alla “testa” il ricciolo, insieme ad altri tre recuperati nel 1988 nella stessa area del santuario del primo e rispuntati nel 2011, durante la sistemazione di un nuovo magazzino nel museo di Aidone».

Quando si parla di piena collaborazione da parte dell’istituto americano, varrebbe la pena, allora, ricordare che per verificare la legittimità della richiesta da parte siciliana di restituzione della «testa», la motivazione «ufficiale» con cui i frammenti sono volati alla volta del museo di Los Angeles è stata una mostra, e non quella comparazione, la cui necessità poggiava pure su solide motivazioni scientifiche e non avrebbe avuto bisogno di altri pretesti. Tanto più che si trattava di un reperto «sospetto», essendo pervenuto attraverso il mercante Symes. Tanto più che con quella mostra allestita tra l’aprile 2012 e il gennaio 2013 (su un tema, peraltro, contiguo a quello che di lì a qualche mese sarebbe stato al centro della grande esposizione già ricordata sulla Sicilia) si era in piena «operazione trasparenza», lanciata nell’estate 2012 dal Getty per verificare la provenienza di tutta la collezione di antichità.


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Silvia Mazza, 04 aprile 2016 | © Riproduzione riservata

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