Stefano Causa
Leggi i suoi articoliEsistono libri, e sono la stragrande minoranza, che si mettono in moto solo quando il lettore si rende conto del divertimento che l’autore ha provato nello scriverli. Uscito da qualche mese, Tempi moderni è uno di questi; e non è poco nel deserto che stiamo attraversando. Storico d’arte, consulente di case d’asta e conoscitore notissimo, Marco Riccòmini è affetto da un morbo che si chiama «dromomania» (comune, per dire, a un Salvator Rosa o al bellunese Sebastiano Ricci). Si muove di continuo. Effetti collaterali di tale magnifica ossessione includono eventualmente alcuni bei quadri (in quei casi) o, come per Marco, un diario di bordo a biglietto aperto.
Per un quinquennio, ha inviato alla «Gazzetta Antiquaria» poco più che una pagina di word da diverse piazze d’arte. Il misteriosissimo meccanismo di rischio e calcolo, fiuto e pura fortuna che presiede alle aggiudicazioni diventa pretesto per incursioni su un’infinità di temi riguadagnati con corti circuiti spesso rivelatorii. Le letture a distesa e la quantità di cose anche solo orecchiate risulteranno di contravveleno allo specialismo che zavorra gli studi odierni, dove sarebbe ora di spalancare le finestre per far entrare un po’ d’aria. Questo volumetto violentemente centrifugo è scortato da Enrico Frascione, presidente dell’Associazione Antiquari d’Italia che, da napoletano mai domo e men che mai pentito, ha individuato nel bolognesissimo Riccòmini una piattaforma di intesa: la curiosità.
Marco si appoggia a una frase dalle Città Invisibili che è un autoritratto per procura: «L’uomo che viaggia e non conosce ancora la città che lo aspetta lungo la strada, si domanda come sarà la reggia, la caserma, il mulino, il teatro, il bazar». Ma non è proprio Calvino la matrice di questa scrittura mobile e duttile, che ha bisogno di un lettore complice e discretamente dotato. Siamo piuttosto dalle parti di Alberto Arbasino. Ma vi è un riferimento meno scontato che, anche per cogenti tramandi familiari, rimette il nostro amico sulla via dell’officina di Roberto Longhi. Il riferimento è agli scritti del pittore torinese Italo Cremona che, ammesso ce ne fosse bisogno, aggiunsero altre spezie a una rivista di per sé sulfurea e antiaccademica come «Paragone». A prendere la rincorsa la rubrica «Acetilene» (1951-57) è lo sparo d’avvio di questi geniali pizzini.
Marco Riccomini, Tempi Moderni. Scritti per la Gazzetta Antiquaria 2014-2019, Tipografia Fabbri, Modigliana (Fc)
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