Giorno per giorno nell’arte | 23 agosto 2022

Zahi Hawass vuole far riportare in Egitto la Stele di Rosetta | Crollato un santuario sciita in Iraq, presso Kerbala | Il Kunstmuseum di Berna e la collezione Gurlitt | I nove candidati alla direzione del Poldi Pezzoli | Emanuela Daffra al posto di Marco Ciatti ad interim | La giornata in 11 notizie

La nuova installazione artistica temporanea di Morag Myerscough nel sito di Housesteads, presso il Vallo di Adriano
Redazione |

Zahi Hawass annuncia una nuova offensiva mediatica per riportare la Stele di Rosetta in patria dal British Museum. L’archeologo egiziano (ed ex ministro delle antichità) ha dichiarato al quotidiano mediorientale «The National» che la Stele di Rosetta, insieme al busto di Nefertiti (attualmente al Neues Museum di Berlino) e il soffitto dello Zodiaco di Dendera (ospitato al Musée du Louvre) dovrebbero essere restituiti definitivamente all'Egitto. La Stele di Rosetta (196 a.C.) fu trovata a Menfi, in Egitto, nel 1799 da un ufficiale militare francese. Due anni dopo fu sequestrato dalle forze britanniche ad Alessandria e spedito in Inghilterra. Nel 1802 la stele, che permetteva di decifrare i geroglifici, fu donata al British Museum. Il busto di Nefertiti (1340 a.C.), scoperto dall’archeologo tedesco Ludwig Borchardt ad Amarna nel 1912, è conservato al Neues Museum di Berlino. Il soffitto dello Zodiaco in arenaria con la sua mappa delle stelle (50 a.C.), fu scoperto a Dendera dall’archeologo francese Vivant Denon nel 1799. Nel 1822 fu rimosso e portato a Parigi per la Biblioteca Nazionale francese; nel 1922 fu trasferito al Musée du Louvre. Hawass ha detto a «The National» che intende lanciare una petizione «firmata da un gruppo di intellettuali egiziani» che inizierà a inviare ai musei europei coinvolti a ottobre. «Credo che questi tre oggetti siano unici e la loro casa dovrebbe essere in Egitto», ha detto, attingendo all’ultimo passaggio agli oggetti rimpatriati dai musei occidentali come i bronzi del Benin. [Gareth Harris]

In Iraq il 20 agosto è crollato un santuario sciita a circa 17 miglia a ovest di Kerbala
. La tragedia, che ha provocato la morte di almeno sette pellegrini, è un condensato dei problemi sociali e politici che caratterizzano l’Iraq, tra cui i conflitti tra sciiti, la corruzione e il controllo e la gestione del redditizio turismo religioso. Oltre ai corpi di 4 donne, due uomini e un bambino estratti dalle macerie, secondo alcune testimonianze il corpo di un’altra donna dispersa non era ancora stato ritrovato. «Stiamo continuando la ricerca di altre vittime», ha detto il 22 agosto il portavoce della protezione civile Jawdat Abdelrahman all’Agence France Press. Il santuario è una destinazione popolare sia per i pellegrini iracheni sia per quelli iraniani, soprattutto nel corrente mese di Muharram, il primo nel calendario islamico e il secondo più sacro dopo il Ramadan, e a sole due settimane dall’inizio dell’Ashura. Ospita una sorgente da cui gli sciiti credono che l’Imam Ali ibn Abi Talib (genero e cugino del profeta Maometto) e il suo esercito si fermarono a bere nel 657 d.C., mentre si recavano in battaglia. [Hadani Ditmars]

Il Kunstmuseum di Berna dedica una mostra alla complessa vicenda dell’acquisizione della collezione Gurlitt. Intitolata «Taking Stock. Gurlitt in Review», si terrà dal 16 settembre al 15 gennaio 2023. Cornelius Gurlitt aveva ereditato dal padre Hildebrand, mercante d’arte tedesco compromesso con il nazismo, circa 1.600 opere, dall’Impressionismo ai capolavori dell’arte degenerata. In seguito nel 2012 alla scoperta di un conto bancario detenuto in Svizzera, la polizia scoprì anche l’esistenza della collezione, divenuta insieme al suo proprietario oggetto di una isteria mediatica che la trasformò in emblema dei furti nazisti, tanto da venire sequestrata con proposta di restituzione delle opere ai proprietari originari. Riottenuta la collezione Cornelius Gurlitt nominò nel 2014 unico erede proprio il Kunstmuseum Bern, che ha in questi anni istituito un apposito Provenance Research Department restituendo 9 opere. E proprio intorno a questo tema ruotano gli attualissimi, fondamentali quesiti che la mostra pone: cosa significa una ricerca sulla provenienza e quali sono i suoi limiti? Quali sfide sorgono quando se ne affrontano i risultati? Che ruolo hanno i musei non solo sul piano collezionistico e culturale, ma anche etico, politico e legale? Che responsabilità si è assunto il Kunstmuseum? [Elena Franzoia]

Michael Findlay, direttore delle Acquavella Galleries di New York, è uno degli otto nuovi membri nominati il ​​19 agosto dal presidente degli Stati Uniti Joseph R. Biden nel Cultural Property Advisory Committee, organo consultivo governativo sulle questioni di import-export e di traffico illecito d’arte. Le nomine rappresentano un rinnovamento quasi totale del comitato di 11 membri, che riunisce esperti di mercato, musei, archeologia, antropologia e settori correlati, nonché tre membri che rappresentano l’interesse pubblico, per consigliare il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti su questioni relative al patrimonio culturale di altre nazioni come restrizioni all’importazione di proprietà provenienti da determinati paesi o azioni di emergenza per collaborare a salvaguardare manufatti all’estero. Prima del suo periodo ad Acquavella, Findlay, di origine scozzese, ha aperto la sua galleria nel quartiere Soho di Manhattan negli anni ’60. È entrato a far parte della casa d’aste Christie’s nel 1984, diventandone infine direttore senior e facendo parte del suo consiglio di amministrazione fino al 2000. Oltre a Findlay, i membri provenienti dal mondo dell’arte comprendono il direttore del Museo di Albuquerque Andrew Connors; il curatore di arte africana e capo dipartimento per l’Africa, l’Oceania e le Americhe indigene al Detroit Institute of Arts, Nii Quarcoopome; e Cynthia Denise Herbert, presidente della società di valutazioni Appretium Appraisal Services con sede nel Connecticut. Esperti in archeologia e antropologia che si uniscono al comitato includono Miriam T. Stark, professoressa presso l’Università delle Hawaii a Manoa; il direttore dell’Arkansas Archeological Survey, Alex W. Barker; e Alexandra Jones, fondatrice e amministratore delegato dell’organizzazione «Archaeology in the Community» con sede a Washington. [Benjamin Sutton]

Sono 9 i candidati alla direzione del Museo Poldi Pezzoli di Milano
, che dovranno sostituire la direttrice uscente Annalisa Zanni e che saranno chiamati a colloquio il 15 e 16 settembre dalla Commissione di valutazione: sono Laura Aldovini, Andrea Alessandro Daniele Di Lorenzo, Lavinia Maddalena Galli, Federica Carolina Manoli, Giovanni Morale, Lucia Pini, Alessandra Quarto, Chiara Rostagno e Francesca Tasso. [Redazione]

Emanuela Daffra, storica dell’arte e direttrice dei Musei regionali della Lombardia, dal primo settembre prenderà il posto di Marco Ciatti (in pensione da agosto) come soprintendente ad interim dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Daffra, ex docente di storia dell’arte, ex direttrice della Pinacoteca di Brera a Milano e dell’Accademia Carrara di Bergamo, continuerà a ricoprire la carica di direttrice dei Musei regionali della Lombardia. «Quando sono arrivata all’Opificio, nel 2018, per dirigere alcuni settori di restauro (arazzi, tessili e scultura lignea), Marco Ciatti mi disse: “Qui è come giocare in Champions League” e aveva perfettamente ragione», dichiara la Daffra, milanese classe 1960, ricordando i progetti condivisi con l’Opificio delle Pietre Dure quando lavorava alla Pinacoteca di Brera. È entusiasta del nuovo ruolo che l’aspetta a Firenze e sottolinea «il grande valore dell’Istituto, tra i più belli e ricchi di storia del Paese». [Tina Lepri]

Perché è stata distrutta la «Cappella Sistina» di Netflix? Nel film Netflix del 2019 «I due papi», che racconta la storia del passaggio improvviso e senza precedenti del potere di papa Benedetto XVI a papa Francesco, i due si incontrano una mattina presto in una Cappella Sistina vuota. «Devi ricordare: tu non sei Dio, sei umano», dice papa Benedetto (Anthony Hopkins) al cardinale Bergoglio (Jonathan Pryce), che presto diventerà Papa Francesco. La telecamera si sofferma sui primi piani del capolavoro del grande artista rinascimentale. Immediatamente dopo le riprese, quel set maestoso è stato distrutto. Lo sceneggiatore del film, Anthony McCarten, che ha avuto una nomination all’Oscar per la sceneggiatura, ha detto che la realizzazione del set è costata 5 milioni di dollari ed era qualche centimetro più grande della realtà. Ha descritto la sua distruzione come un «crimine». Ne scrive Cristina Ruiz su artnet.com.

Gli archeologi possono anche scoprire vestigia del XIX secolo
. È un notevole sito archeologico quello che gli archeologi francesi dell’Inrap (Institut national de recherches archéologiques préventives) hanno portato alla luce nel centro della città di Gagny a Seine-Saint-Denis. Qui le case suburbane stanno scomparendo rapidamente per far posto a piccoli edifici e questa urbanizzazione forzata sta facendo emergere dal suolo siti e storie sepolte da molto tempo. In un’area di 700 mq, scavata da giugno, convivono i resti di tre epoche: medievale, moderna e contemporanea. Il reperto più clamoroso è certamente quello di un laboratorio di produzione ceramica domestica di fine Ottocento, che nel suo periodo di massimo splendore impiegava tra le sessanta e le ottanta persone. Del laboratorio rimane la fornace di mattoni rossi e una fossa per lo stoccaggio dell’argilla necessaria per la lavorazione della porcellana. [Redazione]

Il sito di Housesteads, che si trova lungo il Vallo di Adriano, è celebre per ospitare uno dei forti romani meglio conservati della Gran Bretagna. Ma Housesteads ha una nuova installazione artistica temporanea, parte di una serie di eventi della durata di un anno che celebrano i 1.900 anni dall’inizio della costruzione del Vallo di Adriano nel 122 d.C., sotto l'imperatore Adriano. Progettata dall’artista Morag Myerscough con l’aiuto della comunità locale, l’opera d’arte (intitolata «The Future Belongs to What Was As Much As What Is») consiste in una struttura colorata simile a una fortezza realizzata con impalcature. Alta circa 16 metri e larga 9, è abbastanza grande da essere vista dalla strada statale che corre parallela alle mura e reinventa il corpo di guardia settentrionale di questo forte. [Redazione]

Il prossimo 16 novembre a Hudson, nello stato di New York, la casa d’aste Stair metterà in vendita i mobili e gli oggetti dalle proprietà di Joan Didion, la scrittrice americana morta il 23 dicembre scorso all’età di 88 anni. Preview degli oggetti in vendita a partire dal 4 novembre. Tra i lotti, figurano opere di Richard Diebenkorn, Sam Francis, Ed Ruscha, Jennifer Bartlett, Vija Celmins e Eric Fischl, molte delle quali donate all’autrice dagli artisti. Ci sono due foto della macchina da scrivere di Hermann Hesse scattate da Patti Smith con dedica. E compaiono nel catalogo dell’asta anche le pentole di casa: le cene di Joan Didion nella casa di Franklin Avenue a Los Angeles e poi a Malibu erano leggendarie, soprattutto per la celebrità degli ospiti che le frequentavano. [Redazione]

Mostre che aprono
Quando gli europei inventarono l’America.  «L’America è un’invenzione europea» dichiara apertamente la mostra «Reinventing the Américas: Construct. Erase. Repeat», che il Getty Center di Los Angeles presenta dal 23 agosto all’8 gennaio. Ed è quanto emerge dalle stampe, dai libri e dagli oggetti che conquistadores, esploratori e artisti europei produssero tra il 1492 e il tardo ’800. «Le nostre collezioni, osserva Idurre Alonso, curatrice del museo, illustrano un’immagine dell’America basata sulla visione europea. Perciò era per me importante fornire una prospettiva diversa e presentare una realtà delle opere molto più complessa. La collaborazione con Denilson Baniwa e con la nostra comunità centro e sudamericana ha reso ciò possibile. La loro voce ha rimesso tutto in discussione e ha rivisto la prospettiva del colonialismo». La mostra è infatti il risultato di una collaborazione con Baniwa, artista contemporaneo brasiliano che da sempre affronta le tematiche relative al suo popolo indigeno. La sua opera è il risultato di interventi digitali su opere originali, come «The Celebration of the Lizard» (2022), realizzata su Columnam à Praefecto prima navigatione locatam venerantur Floridenses di Jacques Le Moyne de Morgues dalla Brevis narratio eorum quae in Florida Americæ provincia Gallis acciderunt (Francoforte, 1591). L’esposizione è divisa in sezioni tematiche che esplorano le immagini delle Americhe scaturite dalla visione dei viaggiatori ed esploratori europei; gli stereotipi da questi creati delle popolazioni indigene e della loro cultura e la straordinaria bellezza delle risorse naturali e lo sfruttamento delle stesse da parte degli europei.
In contemporanea, e fino al 26 febbraio, il Getty presenta anche «Eighteenth-Century Pastels» con opere dalle collezioni del museo losangelino di artisti come Rosalba Carriera e Jean-Etienne Liotard che portarono la tecnica del pastello a un livello di qualità tecnica e sofisticatezza senza precedenti. [Viviana Bucarelli]

Addii
Il 17 agosto è morto a Nizza in Francia, all’età di 79 anni, il pittore Vittorio Matino. Nato a Tirana nel 1943, dove il padre militare risiedeva con la famiglia, si trasferì a Schio, in Veneto, col precipitare della situazione politica in Albania. I suoi esordi pittorici risalgono all’inizio degli anni Sessanta. Da una pittura espressionista a tema sociale, Matino passò progressivamente all’Astrattismo. Sue esposizioni si sono tenute in Italia, in Europa (soprattutto in Francia, dove trascorse lunghi periodi) e in America.

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