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Franco-cinese un po’ romano

Federico Castelli Gattinara

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Come annunciato sul numero di gennaio di questo giornale, l’Accademia di Francia ha steso un programma tutto rivolto a se stessa, come istituzione, patrimonio e storia, lunga tre secoli e mezzo esatti.

Ne è prova la mostra «Yan Pei-Ming Roma», aperta fino al 19 giugno, a cura di Henri Loyrette. In realtà sia l’artista sia il curatore sono stati chiamati dal precedente direttore Eric de Chassey.

Il pittore franco-cinese, nato nel 1960 a Shanghai e trasferitosi a 19 anni a Digione, dove tutt’ora vive e lavora, fu «pensionnaire» di Villa Medici nel 1993-94, una decina d’anni prima della sua consacrazione sulla scena internazionale alla Biennale di Venezia del 2003. Lo stesso vale per lo storico dell’arte Henri Loyrette, borsista negli anni 1975-77, direttore del Musée d’Orsay fino al 2001 e subito dopo presidente-direttore del Louvre fino al 2013. Insomma, due residenti di chiara fama.

Per l’occasione Yan Pei-Ming presenta un lavoro inedito realizzato per Villa Medici, «un progetto esclusivamente legato a Roma», come spiega lui stesso, alla città e alla sua storia millenaria condensata in una ventina di opere di grande formato: ritratti di papi (non i primi da lui eseguiti), paesaggi con rovine, iconografie cinematografiche legate a «Roma città aperta» di Rossellini e a «Mamma Roma» di Pasolini, oltre a momenti chiave della vita politica italiana. I ritratti del resto sono una sua specialità.

Già ospite trentatreenne di Villa Medici, realizzò ed espose la serie intitolata «I 108 briganti», ispirata a un classico della letteratura cinese, e nel 2009 il Louvre, attraverso lo stesso Loyrette, lo chiamò per un confronto con la «Gioconda». Ma Yan Pei-Ming esplora tutti i generi pittorici, con i suoi grandi formati, le pennellate vigorose, la tipica bicromia, di solito il bianco e nero, anche se da qualche tempo ha ampliato la tavolozza.

La mostra, realizzata in collaborazione con la galleria Massimo De Carlo, parte da Caravaggio, di cui l’artista rifà alla sua maniera la «Vocazione» e il «Martirio di san Matteo» e le due tele della cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo. Ma da subito le mischia con storia e cronaca, l’attentato a papa Giovanni Paolo II, il ritrovamento del corpo di Aldo Moro, con abusate icone della città e della sua storia culturale, scene dai film citati, la Fontana di Trevi, le rovine urbane sia antiche sia contemporanee.

Sfida da far tremare i polsi, almeno dopo Bacon, il rifacimento dell’«Innocenzo X» di Velazquez della Galleria Doria Pamphilj, che ha realizzato in quattro versioni: oltremare, grigio, rosso e verde. Suggestiva chiusura con le due gigantesche «Albe nere», che ricordano le «Ninfee» di Monet in chiave tragica.

Federico Castelli Gattinara, 20 aprile 2016 | © Riproduzione riservata

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