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Finalmente un luogo di domande e di riposte

Alessandro Martini

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Al Museo Nazionale dell’Ebraismo italiano e della Shoah di Ferrara è in corso un work in progress in un doppio cantiere, sugli e difici e sui contenuti. «Per mettere l’Ebraismo a disposizione dei non ebrei», ci spiega la neodirettrice Simonetta Della Seta 

È del 2 maggio il nuovo finanziamento di 25 milioni di euro, nell’ambito del Piano Strategico Turismo e Cultura da un miliardo promosso dal Mibact in tutta Italia, per il completamento architettonico del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah (Meis) negli oltre 7mila metri quadrati del complesso novecentesco delle ex Carceri dismesse nel 1992, a poche decine di metri dall’ex ghetto. Il museo è stato istituito nel 2006 ed è promosso da una fondazione costituita da Mibact, Comune, Cdec (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea) e Ucei (Unione delle Comunità Ebraiche Italiane).

Vista esterna, lato caffetteria, del nuovo Meis nel progetto degli studi Scape e ArcoDal 2011 è oggetto di un cantiere che prevede la realizzazione non solo di un museo dedicato alla bimillenaria presenza ebraica in Italia, ma anche di spazi per biblioteca, centro studi, mostre temporanee, seminari, corsi di aggiornamento, attività didattiche, conferenze, spettacoli. Nel 2011, in seguito a un concorso internazionale con più di 50 partecipanti, è stato scelto il progetto dello studio Scape (con Michael Gruber, Kulapat Yantrasast e Stefano Massarenti) e di Studio Arco per le strutture (Vertov, per l’allestimento museografico). Contro i previsti due anni per l’inaugurazione, il museo è oggi un cantiere.

Vista esterna complessiva del nuovo Meis nel progetto degli studi Scape e ArcoDal 6 giugno il nuovo direttore, per i prossimi quattro anni, è Simonetta Della Seta, 58 anni, studiosa di Ebraismo (è stata alieva di Renzo De Felice), giornalista e diplomatica. È nata a Roma e ha vissuto molti anni in Israele ma oggi risiede a Ferrara, «per vivere la città e la sua comunità, antichissima e viva», ci dice. Selezionata in una rosa di 13 partecipanti al bando dalla commissione tecnica (composta da Daniele Jalla, Anna Foa e Guido Guerzoni), è stata nominata il 19 aprile dal Cda della fondazione, presieduta da gennaio da Dario Disegni.

A lei il compito di gestire il nascente museo, «un work in progress, ci racconta con entusiasmo, in un doppio cantiere: quello dei contenuti, affidato a un gruppo ricco di competenze diverse, e quello dei sette edifici, in parte in ristrutturazione, in parte di nuova edificazione». Responsabile unico del procedimento è l’architetto Carla Di Francesco, fino ai primi del 2015, direttore regionale dei Beni culturali dell’Emilia-Romagna. «Questo è un momento molto importante nel percorso che, nell’autunno 2017, porterà all’inaugurazione del primo lotto del museo, con la ristrutturazione del corpo centrale e l’allestimento di una prima, grande mostra», afferma Disegni. 

Dottoressa Della Seta, quali sono le ragioni del ritardo e quando si prevede la conclusione dell’intera opera?

Il museo vive oggi una fase fondamentale di rilancio, partita nel luglio del 2015 quando il Mibact ha spinto per una riforma dello statuto, assicurando un avvicendamento nella presidenza e l’istituzione della figura di un direttore esecutivo, prima assente. Ora possiamo lavorare con una rinnovata forza e nuovi strumenti. Nel 2017 sarà conclusa la parte dell’ex carcere, entro il 2020 saranno completati i cinque nuovi edifici, omaggio ai cinque libri della Torah. Ma l’obiettivo più difficile ora è dare forma e vita al museo e ai suoi contenuti, capendo a chi parlare. A Ferrara, con la sua storica comunità, e poi all’intera Italia ma anche al pubblico internazionale. Partendo da un dato fondamentale: la presenza degli ebrei in Italia è la più antica al mondo dopo quella nella terra di Israele, tanto che storicamente l’Ebraismo italiano ha una tradizione  riconosciuta tutta sua, né askenazita né sefardita.

Non esiste però in Italia un museo nazionale ebraico come in tutti gli altri grandi Paesi del mondo.

Aggiungo che non esiste nel mondo un Ebraismo come quello italiano così strettamente e storicamente fuso con il territorio, frutto di una convivenza continuativa nel corso di oltre duemila anni, che ha prodotto uno scambio e un arricchimento reciproco. Di tutto questo vogliamo dare una testimonianza forte. Dobbiamo però capire una cosa importante e duplice: come gli ebrei italiani vogliono raccontarsi ed essere compresi, e che cosa interessa al pubblico, italiano e non, dell’Ebraismo in generale e della lunga e ancora vitale presenza ebraica nella Penisola. Se il Meis è il primo museo nazionale, è però vero che esistono musei ebraici a Roma, Firenze, Venezia, Bologna, Padova, Trieste, Casale Monferrato e Lecce, tutti legati alla storia viva di ognuna di queste comunità. 

Quando si parla di Ebraismo, la storia è sempre attuale e in vario modo «politica», interna ai grandi dibattiti.

Quella del Meis è una grande sfida, soprattutto culturale. Al di là delle mostre, che saranno tante, l’allestimento permanente dovrà raccontare una comunità in piena vita e fermento. Ciò che intendiamo creare è un polo di attrazione capace di provocare interesse attraverso percorsi esperienziali, stimoli e suggestioni. Un centro vivo completamente nuovo, tecnologico seppur rigoroso, un parco sempre aperto al pubblico, un polo che renda l’Ebraismo a disposizione anche dei non ebrei. Un luogo ricco di domande e di risposte. D’altra parte, che cosa c’è di più tipicamente ebraico del porre domande e cercare risposte?

Alessandro Martini, 11 settembre 2016 | © Riproduzione riservata

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