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30 ottobre 2017: Roberto Ciabattoni all'opera sulle basi dei Bronzi di Riace nel Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria

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30 ottobre 2017: Roberto Ciabattoni all'opera sulle basi dei Bronzi di Riace nel Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria

Esclusivo. La salute dei Bronzi di Riace e il silenzio del direttore Malacrino

La presenza a fine ottobre nel Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria dei tecnici dell'Iscr al lavoro sulle due statue non è stata accompagnata da nessuna comunicazione ufficiale. È la prova che il sistema di monitoraggio interno delle sculture non fosse funzionante, come avevamo denunciato mesi fa

Silvia Mazza

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Reggio Calabria. Milano, 7 gennaio 2017, impianto di climatizzazione in tilt alla Pinacoteca di Brera. Il direttore James Bradburne predispone, già dal giorno dopo, misure urgenti per ripristinare subito i valori termoigrometrici ottimali e la velinatura cautelativa dei dipinti a rischio. «Siamo intervenuti immediatamente dopo la segnalazione del guasto. Credo che nessun museo italiano avrebbe potuto reagire con più tempestività a un evento così sfortunato»: dichiarava al «Corriere della Sera» (15 gennaio 2017) appena qualche giorno dopo il direttore Bradburne. «Nessun museo italiano»: sicuramente non il Museo Nazionale di Reggio Calabria, non il suo direttore Carmelo Malacrino.

Lunedì 30 ottobre, a dieci mesi dalla nostra inchiesta, nella sala che ospita i Bronzi di Riace spunta Roberto Ciabattoni dell’Iscr, progettista del sofisticato sistema permanente di monitoraggio interno delle sue statue, sul cui stato di attivazione avevamo avanzato dubbi nel marzo scorso (cfr. n. 373, mar. ’17, pp. 8 e 9). Tanto permanente da essere stato disattivato permanentemente già dal giorno dopo l’inaugurazione della nuova sala, il 21 dicembre 2013, con le statue dotate dei loro sensori «sotto pelle». Passaggio di consegne, riorganizzazione degli istituti Mibact per la riforma Franceschini, rotazioni al vertice della nuova soprintendenza unica, insomma con tutte le attenuanti possibili e immaginabili, resta difficile poter dire che il tempo non sia stato dalla parte del direttore del museo, che, insediatosi nell’ottobre 2015, ha poi avuto un buon anno e mezzo per accorgersi che il sistema non stava fornendo dati e che l’«archivio di informazioni» di cui parlava Ciabattoni in quei 17 mesi era rimasto una pagina bianca. Sicuramente era tenuto ufficialmente a farlo «almeno dal 29 aprile del 2016», come spiegheremo oltre. E meno male che stiamo parlando dei due capolavori identificativi del museo, per i quali il ministro Franceschini volle un’apposita commissione per bloccarne il prestito all’Expo di Milano, ultima di una serie di tentativi di trasferta che  negli anni hanno infiammato le polemiche. Sono inamovibili, anche se è lecito perderli di vista sotto il naso, al museo. C’è poi voluta un’inchiesta giornalistica perché il direttore se ne ricordasse.

Ciabattoni, dicevamo: la foto che pubblichiamo lo vede all’opera sulle basi scoperchiate. In altre foto dello stesso giorno si scorge pure un altro tecnico in camice all’opera, che dà le spalle ai visitatori assiepati intorno alle statue. Che cosa stanno facendo esattamente? Staranno forse rimettendo mano proprio al sistema di monitoraggio? sulla testata online «Quello che non ho» sono spuntate fuori, infatti, una relazione di un ispettore Mibact e una lettera della Direzione generale Musei che confermano quanto segnalavamo in marzo, come pure la notizia che davamo poi in maggio, non confermata da fonti ufficiali, che ci si fosse attivati per risolvere la faccenda (cfr. 375, mag. ’17, p. 21). L’ispettore, inviato a ridosso della nostra denuncia, in quello stesso marzo, per accertare se corrispondesse al vero, nella sua relazione confermava che «gli impianti oggettivamente manifestano alcune criticità e malfunzionamenti», e, riconoscendo Malacrino come responsabile degli stessi «almeno dal 29 aprile del 2016», scriveva che «la manutenzione è a carico del museo autonomo» e che «tuttavia (…) sostenuta dalla soprintendenza ben oltre e al di fuori delle proprie competenze, non è stata più riattivata a cura del Museo», che «dispone di una somma di bilancio utilizzabile per le questioni e spese di natura impiantistica». Nella lettera del 22 giugno, quindi, si prescriveva di «ripristinare immediatamente la situazione». Si parla di operazioni che «potrebbero consistere in semplici attività di manutenzione straordinaria a compensazione di quella ordinaria non eseguita». In sintesi: denuncia giornalistica, ispezione Mibact, accertamento del malfunzionamento, disposizioni per il ripristino, e finalmente il direttore prende provvedimenti.

Già, ma è stato quindi possibile ripristinare il sistema? E perché lo si disattivò quattro anni fa? O sono interrogativi riguardanti beni patrimonio collettivo e soldi pubblici anche questa volta destinati a restare senza risposta, anche se l’attenzione che merita lo stato di salute dei due capolavori è stata riaccesa proprio da «Il Giornale dell’Arte»? Che il direttore abbia un rapporto particolare con la stampa, specialmente con quella di settore, non è quel che si dice una novità. Appena insediato non rispose mai alle domande di «Artiribune», che decise di raccontare comunque i retroscena di quell’intervista concordata e mai nata, «con la convinzione che la professionalità e la coerenza di qualsiasi rappresentante istituzionale si manifesti anche nel fondamentale rispetto verso gli organi di informazione». Allora teneva banco la polemica intorno alla sua qualifica: un architetto in un museo archeologico. E sembra proprio che la comunicazione sia stata da subito il dato dolente. Singolarmente, infatti, nel comunicato Mibact in cui si indicavano le professioni dei vincitori del concorso dei «superdirettori» non compariva la sua, quella di «architetto» e nella breve biografia che seguiva lo si qualifica come «archeologo e architetto», quando archeologo non è. Insomma, architetto, ma non andava detto?

Così come poi non sarebbe stato detto come stessero davvero le cose per i Bronzi. Ma non solo, perché non abbiamo mai ricevuto, pur avendole sollecitate, comunicazioni sulle attività delle museo, fosse anche stato per il premio «Portatori della Vara» di cui è stato insignito nel 2017, né siamo riusciti ad avere un contatto telefonico diretto col direttore, quando, invece, persino negli anni ben più «caldi» dell’inchiesta sul controverso restauro di Palazzo Piacentini, che ospita il museo, non abbiamo avuto difficoltà a parlare con l’allora soprintendente e direttrice Simonetta Bonomi o con Francesco Prosperetti, all’epoca direttore regionale Mibact in Calabria. Malacrino no, non rompe la sua consegna al silenzio, nemmeno dopo che la nostra denuncia è stata rilanciata da Gian Antonio Stella sul «Corriere della Sera» (8 marzo 2017). Eppure nel dicembre 2015 si affrettò a smentire sul «Corriere della Calabria» la falsa notizia del «cancro» dei Bronzi circolata dopo un convegno tenutosi al museo stesso, precisando: «le statue sono sottoposte a continui controlli». Ma su quali basi il direttore poteva affermarlo allora se il sistema di monitoraggio interno alle statue da due anni non forniva dati? E dire che nell’intervista che appena arrivato al MArRC ci concesse, parlava di «inclusione a 360°» e di voler «potenziare la comunicazione» (cfr. n. 360, genn. ’16, p. 9).
La potenzi ora la comunicazione, architetto Malacrino: il sistema funziona o no?

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30 ottobre 2017: un tecnico al lavoro nella sala dei Bronzi di Riace del Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria

Il direttore del Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria Carmelo Malacrino

Silvia Mazza, 14 novembre 2017 | © Riproduzione riservata

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