Francesco Tiradritti, archeologo e storico corrispondente di «Il Giornale dell'Arte», è in viaggio in Sudan per una missione scientifica. Pubblicheremo in esclusiva per i nostri lettori il suo «diario di bordo» da un territorio poco conosciuto e prezioso per gli studiosi.
Un’ostrica perlifera. Un involucro insignificante e duro da aprire con dentro un prezioso e brillante tesoro. Questa è l’immagine che mi si ripresenta alla mente da circa una decina di giorni. Ovvero da quando sono atterrato con un volo Egypt Air all’aeroporto di Khartoum. Il Sudan è così. Un’ostrica perlifera.
Sono arrivato alle due del mattino e con una rapida corsa in un taxi sgangherato lungo stradoni bui e deserti ho raggiunto l’Hotel Acropole. Più che un albergo, un’istituzione. È qui che ho alloggiato nel 1984, la prima volta che sono venuto in Sudan, ed è da qui che comincia questa mia nuova avventura.
Trentacinque anni. Una vita fa. Eppure l’ingresso dell’Acropole è lo stesso, identiche sono le scale che conducono al primo piano dove si trova la reception dove nulla o pochissimo è cambiato.