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Art Basel resiste a Trump

Il risultato elettorale e la paura del virus Zika frenano l’euforia ma non gli affari

Rispetto agli anni scorsi l’umore generale ad Art Basel Miami Beach, svoltasi dal primo al 4 dicembre, era meno euforico, ma nonostante il trambusto politico interno, i mercati globali traballanti e il timore del virus Zika, i mercanti hanno riportato vendite significative. «Il ritmo della fiera è stato sicuramente diverso rispetto al passato, affermava il direttore Noah Horowitz, ma l’apertura più tranquilla è stata accolta con favore da espositori e ospiti che hanno potuto parteciparvi con maggior consapevolezza». Dello stesso parere di Horowitz il mercante di San Francisco Anthony Meier, che nelle prime ore della preview vendeva un’opera di Gerhard Richter e una di Gary Simmons: «Alle aperture su invito c'era un pubblico più specializzato, venuto qui per delle ragioni ben precise».

Nonostante voci di una fiera semivuota, si sono registrati 77mila visitatori e le vendite sono state costanti anche se piuttosto contenute ai livelli più alti di prezzo. Il pezzo da novanta è stato «Made in Japan I» (1982) di Jean-Michel Basquiat, proposto da Helly Nahmad e acquistato a 15 milioni di dollari (14,5 milioni di euro) dal collezionista greco Dimitri Mavrommatis, quasi il doppio degli 8 milioni totalizzati da Christie’s nel 2014. I 5,8 milioni di dollari pagati per un Gerhard Richter astratto erano uno dei risultati migliori ottenuti da Gagosian. «Siamo stati molto soddisfatti dei risultati, affermava Steven Henry di Paula Cooper. C’è stata una risposta sorprendente agli artisti nuovi della nostra galleria, come Cecily Brown ed Evan Holloway, ma anche un grande interesse per le opere di Christian Marclay, Tauba Auerbach, Jennifer Bartlett, Sol LeWitt e Joel Shapiro. Nel complesso per noi è stata un’ottima fiera».

«Meglio del previsto», era il commento più ripetuto dai mercanti al Miami Beach Convention Center, dove Marianne Boesky vendeva un’opera della serie «Polish Village» di Frank Stella a 1,1 milioni di euro, e le Acquavella Galleries cedevano la grande tela «Mach II» (1964) di Kenneth Noland a 1,9 milioni di euro. Mitchell-Innes & Nash trovavano acquirenti, a 192mila euro, per una più piccola opera di Noland e per tre rilievi del nuovo «acquisto» della galleria, GCC, tutti a cifre a quattro zeri.

Mary Sabbatino, direttrice della sede newyorkese della Galerie Lelong, riferiva di «un’iniziale trepidazione per l’economia globale, perché non lavoriamo solo con persone dagli Stati Uniti». In condizioni così incerte, «non dobbiamo aumentare i prezzi ma creare fiducia negli artisti rappresentati e trovare per loro opportunità a lungo termine. Le fiere di questi tempi sono i luoghi migliori per farlo, perché il pubblico è internazionale». La sua galleria piazzava diverse opere, tra cui sculture di Jaume Plensa e Ursula von Rydingsvard e fotografie di Andy Goldsworthy: «Un andamento positivo che ci ha sorpreso». Tra le italiane, Tornabuoni metteva a segno un colpo importante con un’opera di Enrico Castellani venduta a un milione di euro, mentre 200mila euro è il prezzo ottenuto per un Agostino Bonalumi del 1984.

Dan Duray, 05 gennaio 2017 | © Riproduzione riservata

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