Arcipelaghi comunicanti: Stati Uniti e Germania a confronto

Una mostra ispirata dalla presa di posizione di Donald Judd a favore del caos e della casualità nell’arte

«Man Installing Pepsi-Sign», (1973) di George Segal
Francesca Petretto |  | Berlino

L’artista americano Donald Judd (1928-94) negli anni fra il 1957 e il 1963 si dedicò quasi esclusivamente alla critica d’arte, pubblicando diversi saggi e articoli: fra questi ultimi, nel 1964, uno divenuto poi celebre, «Local History» per il «New York Times», dedicato alla scena artistica newyorkese contemporanea. Le parole chiave di quel pezzo furono «caotico» e «disordine»: «La storia dell’arte e le condizioni dell’arte in qualsiasi momento sono piuttosto confuse. [...] Si può pensare ad esse quanto piace, ma non diventeranno più ordinarie [...] Le cose possono essere diverse e dovrebbero rimanere diverse». Quelle parole aprirono uno squarcio in secoli di storia dell’arte che volevano stili e generi canonizzati, artisti incasellati per categorie, regola ed ordine in un mondo libero per definizione.

La presa di posizione di Judd a favore del caos e della casualità nell’arte, il
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