Manzoni, quello vero

Il conte dadaista in 26 minimonografie di Andrea Cortellessa

Piero Manzoni nel 1960 durante le riprese del cortometraggio «Uova» presso lo studio del filmgiornale S.E.D.I.. Fotografie di di Giuseppe Bellone
Luca Scarlini |

Monsieur Zero è il titolo di un racconto di Paul Morand, che negli anni Quaranta tradusse in italiano Michelangelo Antonioni. Da questa suggestione Andrea Cortellessa parte per una personale esplorazione nel mondo di Piero Manzoni, oggi alfine accreditato come nodo fondamentale dell’arte in Europa nel dopoguerra, dopo un lungo sospetto.

Quello che emerge dalla lettura dell’autore è una visione nihilista, in cui la merda, celebrata nelle ormai costosissime scatole presenti in tutte le maggiori collezioni del mondo, era la condizione in cui dal diario il conte dadaista sentiva di poter rappresentare l’esistenza. Il libro ben analizza risonanze, echi, ritorni: a partire dalla sintonia evidente degli acromi con l’opera di Samuel Beckett, che un testimone d’epoca indica come possibile fonte di ispirazione.

Gli occhi spalancati di Manzoni, l’atteggiamento sempre provocatorio, all’epoca della sua
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