Le peripezie di un veneziano nell'India dei Moghul

Nicolò Manici in una miniatura che lo ritrae con abiti all'indiana (part.)
Luca Scarlini |

Nicolò Manucci ebbe una vita romanzesca, passando dalla sua natìa Venezia all’India Moghul, dove ebbe numerosi ruoli, restando vicino ai protagonisti di quelle turbolente vicende. Fu infatti vicino all’ascesa micidiale di Aurangzeb, che eliminò il fratello Dara Šikoh, a cui riuscì comunque a sopravvivere, anche quando la testa di quest’ultimo venne servita su un piatto al suo acerrimo rivale.

Nella trama fitta, e spesso sorprendente, delle relazioni tra Italia e India tra Sei e Settecento, quando Cosimo III inviava un enorme altare, opera di Giovanni Battista Foggini, a Goa, entusiasta di aver ricevuto un cuscino su cui aveva dormito san Francesco Saverio, Manucci seppe entrare a far parte della complessa società, dove ebbe veste di consigliere e medico.

Marco Moneta racconta con brio, e una ricca documentazione la vicenda, per certi versi paradossale, dell’autore dell’importantissima Storia
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